2017-01-04 20:00:00

Cie: polemica politica. Minniti: a breve vertice sicurezza a Tripoli


Non accenna a placarsi in Italia la polemica sui centri di identificazione e di espulsione, soprattutto dopo la protesta di lunedì scorso a Cona nel veneziano di un gruppo di migranti ivoriani a seguito della morte per cause naturali di una loro giovane connazionale. Il ministro dell'Interno Minniti, dopo gli accordi per i rimpatri firmati a Tunisi, è andato oggi a Malta e ha annunciato un prossimo vertice sulla sicurezza da tenersi in Libia. Il servizio di Giampiero Guadagni:

I paesi europei siano uniti nella ricerca di soluzioni per la migrazione, che non riguarda solo alcuni paesi del Mediterraneo. Così i ministri dell'Interni di Italia e Malta, Minniti e Abela, al termine dell'incontro bilaterale a La Valletta, nel corso del quale è stata sottolineata tra l'altro la necessità di rafforzare le relazioni con i paesi terzi di origine per garantire il rimpatrio dei richiedenti asilo respinti. In Italia intanto è polemica politica sui Cie,polemica alimentata dai fatti di Cona, nel veneziano. Quel centro va chiuso, affermano i parlamentari di Sinistra Italiana, che sono andati in visita e parlano di condizioni disumane per il sovraffollamento. La Lega con Salvini definisce “gentaglia” i migranti che hanno provocato disordini a Cona e annuncia espulsioni di massa in caso di vittoria alle elezioni politiche. Pene adeguate vengono chieste anche da Forza Italia. I 5 Stelle dicono no all'apertura di un Cie in ogni regione, come propone il ministro Minniti, e sollecitano la rapida espulsione degli irregolari. Il Pd replica: ogni forma di violenza è ingiustificabile ma non si deve alimentare il clima d'odio nei confronti dei migranti.

Intanto col trasferimento e la distribuzione nei Centri di accoglienza dell’Emilia di circa 100 migranti della struttura di Cona, nel comune veneziano è tornata la calma e le autorità assicurano massimi controlli. “L’accoglienza deve essere diffusa e i sindaci sono pronti all’attuazione dell’accordo col Viminale che la disciplina”. Così, in contrasto con quanto sostengono i prefetti, afferma il presidente dell’Associazione dei Comuni, Antonio Decaro. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – Non sono sicuro dell’adesione da parte di tutti i sindaci, sono sicuro che però i sindaci saranno invogliati, nel senso che l’accordo prevede 2,5 migranti per ogni mille abitanti ed è chiaro che situazioni come quella di qualche giorno fa (nella struttura di Cona ndr) dove, in una comunità di 3 mila persone è stata utilizzata una caserma per ospitare 1.400 migranti, con la clausola di salvaguardia non potranno più accadere. Nel senso che in quel Comune con 3 mila abitanti e quella percentuale ci saranno al massimo 8 migranti che verranno accolti direttamente dalla comunità, dal sindaco, attraverso un progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e scatterà la cosiddetta clausola di salvaguardia. Nessuna prefettura potrà utilizzare caserme, edifici pubblici o strutture ricettive, aumentando il numero di migranti in quella comunità. Il problema che abbiamo vissuto in questi anni è legato all’impatto di un numero elevato di migranti rispetto alla comunità che ospita: quando il numero dei migranti è eccessivo è chiaro che si possono creare problemi per i migranti,  perché tutti all’interno di una stessa struttura. Ci sono poi problemi di impatto sulla comunità che ospita, perché in un comune di 3 mila abitanti portare 1.400 persone è chiaro che crea un problema anche nella gestione dei servizi.

D. – Lei ha già dato la sua approvazione, è favorevole all’accordo Sprar e ci crede molto. Molto meno crede alla riapertura dei Cie (Centri di identificazione e di espulsione) …

R. – Credo al fatto che i sindaci ci mettono la faccia e decidono di fare l’accoglienza: la fanno loro, sono loro a spiegare alla loro comunità, ai propri cittadini, da dove vengono queste persone e quindi si stabiliscono delle regole, si possono utilizzare i servizi sociali, i servizi sanitari, insomma c’è un minimo di integrazione. Per quanto riguarda i Cie, se devono diventare strutture dove collocare per un massimo di 90 giorni persone che abbiano commesso dei reati e quindi debbano essere poi espulse, va bene. Ma se devono diventare dei ghetti, come è avvenuto in passato, noi su questo non siamo d’accordo.

D. – Una questione – anche estremamente delicata – è quella delle cooperative che gestiscono queste strutture. In un passato recente abbiamo visto non poco malaffare nella gestione di queste cooperative. Come si può bypassare anche questo problema?

R. – Facendo dei controlli! E’ chiaro che dove ci sono soldi, dove c’è l’economia, arrivano le aziende e molte aziende magari non si comportano correttamente. E’ un settore molto delicato e andrebbero probabilmente incrementati i controlli. Quello che abbiamo letto sui giornali, visto in televisione o ascoltato in radio, dimostra che in questo settore si sono infilate delle aziende che non hanno scrupoli e questa attività non va confusa con il volontariato: sono due cose diverse. Ci sono cooperative o aziende che lavorano in questo settore, tante e molto brave.  C’è il terzo settore con le cooperative sociali private che fanno un lavoro straordinario, ma ci sono cooperative e aziende che invece cercano di lucrare sulla pelle dei migranti. E’ chiaro che se c’è un’accoglienza diffusa non hai 1.400 persone concentrate nella stessa struttura con una gara che ha fatto la prefettura, ma quelle 1.400 persone vengono distribuite su territorio provinciale con tante piccole gare che fanno i comuni utilizzando piccole strutture ricettive: appartamenti, locali di proprietà del Comune… Non c’è una concentrazione, sono diverse piccole gare e non c’è una concentrazione di migranti, quindi è difficile che arrivi l’azienda che specula sulla vita di queste persone che scappano, nella maggior parte dei casi, dalla guerra e dalla fame.








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