2017-01-02 10:26:00

Nigeria. Ragazze di Chibok fuggite da Boko Haram: li abbiamo perdonati


Carestia e terrorismo stanno devastando la Nigeria e i militari hanno scelto la strategia della paura, ma nel Paese prevale la speranza. Così il giornalista freelance Daniele Bellocchio arrestato e rilasciato nei giorni scorsi a Maiduguri capitale dello stato federale di Borno, dove si era recato per raccontare, anche per la Radio Vaticana, la realtà della guerra contro Boko Haram e il volto di alcune studentesse di Chibok riuscite a fuggire dopo il rapimento, nel 2014 di 276 ragazze, da parte degli estremisti islamici. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:

R. – Io avevo – è una premessa da fare – tutti i visti e gli accrediti giornalistici in regola per lavorare in Nigeria. Questi accrediti, per i quali tra l’altro ci vuole anche parecchio tempo per poterli ottenere, mi consentivano di lavorare proprio negli Stati del Nord, ma non mi permettevano di lavorare all’interno delle aree sotto controllo militare: per entrare nei campi profughi dovevo per forza avere un permesso in più rilasciato dall’esercito. Mi sono, quindi, recato in caserma insieme al fotografo e al fixer a Maiduguri, ma una volta arrivato in caserma c’è stata però questa sorpresa: anziché dirmi semplicemente puoi o non puoi andare nei campi profughi, mi hanno trattenuto il mio accredito e i miei documenti dicendo che io, essendo entrato in una caserma, avevo violato in qualche modo uno spazio militare…

D. – In sostanza, sei andato lì per chiedere una autorizzazione e invece ti hanno arrestato…

R. – Esattamente! Sono stato in arresto all’interno di questa caserma quasi 14 ore: subendo interrogatori e trattenuto in questa cella con i militari armati che ci piantonavano… Quando io ho chiesto di potermi mettere in contatto anche con la mia ambasciata,  questo mi è stato impedito. In piena notte siamo stati poi trasferiti dai servizi segreti nigeriani: anche qui ci sono stati altri interrogatori, è stato compilato l’intero modulo d’arresto, le foto segnaletiche, le impronte digitali… Quello che continuavano a dirci i militari era che noi abbiamo violato questo spazio militare, essendo entrati in caserma, e che quindi non potevamo più rimanere a Maiduguri e dovevamo tornare ad Abuja. Effettivamente così è stato: ci hanno proprio espulsi dalla città…

D. – Ma, secondo te, perché è accaduto questo: si vuole evitare la presenza della stampa o è una norma militare, seppur inspiegabile?

R. – Credo che sia la prima, ovvero che anche l’esercito non gradisca molto la presenza dei giornalisti, di osservatori stranieri nel Nord della Nigeria. Ora come ora vige la legge marziale e all’interno di questo contesto, anche di violenza, anche i militari non sempre hanno un comportamento che rende loro molto onore. Quello che anche io ho potuto capire, attraverso le interviste che ho fatto nella zona con i civili e con i profughi, è che i militari stanno cercando di combattere una guerra del terrore usando come antidoto la paura. C’erano anche diversi profughi che raccontavano di episodi di violenza commessi dall’esercito, che spesso interviene in modo brutale, in modo molto violento nei confronti anche della popolazione civile.

D. – Daniele, nel tuo viaggio hai comunque raccontato la realtà terribile dei campi profughi, ma anche la speranza negli occhi delle ragazze che sono riuscite a fuggire da Boko Haram. Che volto ha questa speranza, in questo Paese così complesso e dilaniato dal conflitto?

R. – E’ proprio negli occhi delle ragazze che sono riuscite a fuggire. Quando è stato loro chiesto se saranno liberate le loro ex studentesse, in modo lapidario e senza pensarci su due volte, hanno risposto: “Sì! La situazione volgerà per il meglio!”. Ma credo che la cosa più importante sia che quando l’abbiamo interrogate sul fatto se siano in grado di perdonare gli jihadisti di Boko Haram per quello che hanno fatto, anche in quel caso loro non hanno avuto esitazioni e ci hanno detto di sì.

D. – Nonostante siano state vittime di violenze…

R. – Esattamente! Quindi penso che questa volontà, questa capacità di essere predisposte al perdono sia la base più forte e più concreta per poter vedere della speranza all’interno della Nigeria, dove la situazione è molto difficile, dove c’è anche una crisi alimentare che sta falcidiando il Paese, che sta provocando delle stragi di bambini… La guerra ha avuto degli effetti collaterali che fanno proprio pensare che ormai il Nord della Nigeria sia un Paese di dannazione! Sentire, invece, delle risposte così umane, così sincere da parte delle ragazze che dicono: “Noi siamo anche disposte a perdonare, perché bisogna ricreare una nuova Nigeria, dimenticando la violenza, e per farlo serve il perdono”. Ecco, questa, penso che sia la frase che più di tutte possa dare una dimensione della speranza e del domani in Nigeria.








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