2016-12-31 08:30:00

“L’ultimo con gli ultimi”: Capodanno per i senza fissa dimora


Giovani, anziani e senza fissa dimora, tutti insieme riuniti per lasciarsi alle spalle la fine del vecchio, e salutare in un clima di solidarietà il nuovo anno. Questo il cenone “L’ultimo con gli ultimi”, una serata dedicata a coloro che sono soli in strada e che possono così trascorrere qualche ora celebrando l’Eucarestia, e dimenticare, anche se per poco, i problemi che li affliggono. Organizzata dall’Associazione Papa Giovanni XXIII all’interno della “Capanna di Betlemme Maria Stella del Mattino”, ex convento delle suore Orsoline di Chieti, l’iniziativa pone inoltre l’attenzione verso coloro che hanno perso il lavoro e che ora si trovano in stato di indigenza. Il più delle volte, si tratta di cinquantenni che non riescono in nessun modo a riqualificarsi e non hanno alle spalle una famiglia in grado di ospitarli o sostenerli. Luca Fortunato, volontario dell'associazione, ha raccontato a Sabrina Spagnoli come nasce e si sviluppa questa iniziativa:

R. – Nasce grazie a don Oreste Benzi; lui, in tutte le sue iniziative cerca di richiamare l’attenzione su chi è rimasto fuori dalle mura, come Gesù, e quindi ci richiama a mettere Lui al centro: metterli (i fuori le mura) al centro del nostro cuore. E quindi anche a Capodanno ha inventato questa iniziativa che si chiama “Ultimo con gli ultimi”.

D. – Come viene organizzata, questa serata?

R. – Ci sarà un gruppo di giovani che con dei pullmini andrà nelle diverse stazioni o nei punti dove sappiamo che ci sono i senzatetto che conosciamo, che ci conoscono e che abbiamo già invitato: quindi, a molti di loro abbiamo dato appuntamento in stazione a Pescara alle 19, per andare a prenderli. E altri, di cui sappiamo che non raggiungerebbero la stazione perché sono più in periferia, andiamo a prenderli con i furgoni e li portiamo su, alla Capanna di Betlemme, a piedi. E in più, ai giovani, invece, alle persone di Chieti-Pescara, anche a chi viene da fuori, abbiamo chiesto loro di portare un amico o persone anziane o persone povere, che magari hanno sì, la casa, ma non possono permettersi un cenone con festa di Capodanno, che comunque ha dei costi, oppure non avevano nessuno che li invitasse. Naturalmente, noi abbiamo previsto una piccola quota ma solo per chi può pagare. Quindi, voi immaginate, su 220 persone ci saranno 50 paganti …

D. – Questa iniziativa fa una netta distinzione tra il Capodanno come serata di festa e il Nuovo Anno come inizio di un nuovo percorso spirituale. Vogliamo parlare anche di questo aspetto?

R. – Noi avevamo questo desiderio: innanzitutto, con questa iniziativa, volevamo far sentire una vicinanza concreta; non solo parlare dei poveri, oppure parlare ai poveri di quanto è bello l’amore di Dio, ma testimoniare in opere concrete, attraverso l’amicizia alle persone che sono rimaste più emarginate. Quindi sarà una festa: molte delle persone che verranno le conosciamo, ma ne arriveranno altre, sole, alle quali proporremo, per l’anno prossimo, un percorso di vicinanza, di sollievo della solitudine. Eventualmente, poi, noi cerchiamo anche di rimuovere le cause che portano all’ingiustizia, quindi di entrare nello specifico delle problematiche. E per noi in questo, guardi, c’è tanto di spirituale, perché questo Dio che si fa amico attraverso dei poveri come noi, come me e altri volontari della “Papa Giovanni”, che non si mettono al di sopra … – Don Oreste diceva sempre: “I poveri sono i vostri maestri” …  – quindi noi abbiamo anche un approccio che può essere professionale, di persone formate che però hanno chiaro che queste persone sono dei fratelli e che hanno molto da insegnarci in quanto a umanità. Ci insegnano, quindi, a restare più umani: per me, l’essere umano ha un’altissima forma spirituale, in realtà: implica il rispetto dell’uomo, il rispetto della dignità della persona, far sì che nessuno resti solo, in stato di abbandono …

D. – Cosa significano la fine di un anno passato e l’inizio di un anno nuovo per chi si trova in strada? Quali sono le aspettative?

R. – Per chi è in strada, dobbiamo essere anzitutto messaggeri di speranza; poi, non dobbiamo dire loro soltanto tante parole, quindi oltre a dare l’accoglienza, la vicinanza dobbiamo coinvolgere le istituzioni e anche le associazioni per garantire sempre più diritti: il diritto alla casa, il diritto al reddito … Loro hanno poche speranze: noi cerchiamo di darle loro e cerchiamo di coinvolgere le associazioni e le istituzioni in progetti, affinché loro abbiano i loro diritti; non siano solo beneficiari della carità di turno e del caritatevole di turno. Queste sono le loro aspettative: di avere dei diritti come, appunto, il diritto alla casa, il diritto al lavoro e il diritto ad avere un piccolo reddito, il diritto a un’assistenza sanitaria adeguata e gratuita.

D. – Oggi, purtroppo, a vivere in strada sono anche molti italiani a causa della grave crisi economica e della perdita del lavoro. Quali sono quindi le vostre esperienze con questi 'rifugiati della povertà'? Quali sono le iniziative messe in campo?

R. – Anzitutto, l’accoglienza; dopodiché noi siamo in rete per fornire loro assistenza psicologica perché possano un po’ riprendersi, perché purtroppo quando perdi il lavoro e non porti un reddito, la società ti fa sentire che non vali niente: vali per il valore dei soldi che porti a casa, non vali in quanto persona. Quindi c’è tutto un percorso, anche psicologico, che si fa, con l’inserimento attraverso ore di lavoro, che iniziano con quattro-cinque ore al giorno. E quando anche riescono a percepire un reddito che sia anche al di sotto dei mille euro, magari di 500-600 euro, noi proponiamo progetti di co-housing (coabitazione, ndr), quindi troviamo case da prendere in affitto a prezzi bassi.








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