2016-12-19 13:28:00

Giordania: trovati esplosivi nella casa degli attentatori di Karak


In Giordania 10 persone sono state uccise da un commando armato nel distretto di Karak, nel sud del Paese. Le vittime sono sette poliziotti giordani, due civili e una turista canadese, presa in ostaggio insieme a una quindicina di persone nel castello medievale della città. L’attacco non è stato rivendicato, ma si teme il coinvolgimento del sedicente Stato Islamico, contro cui lo Stato giordano sta combattendo insieme alla coalizione internazionale. Il servizio di Michele Raviart:

Il commando, formato da quattro uomini armati, ha prima sparato su alcuni agenti di pattuglia a Karak per poi colpire una stazione di polizia. Numerosi gli agenti e i passanti feriti prima che il gruppo si rifugiasse nel castello medievale della città, tenendo in ostaggio una quindicina di persone, tra cui alcuni turisti. Il bilancio totale è di 34 feriti e dieci morti, ai quali bisogna aggiungere gli attentatori, uccisi dalle forze di polizia durante il blitz nel castello. Nessuna rivendicazione anche se nella presunta base dei terroristi sono state trovate armi e cinture esplosive. Si sospetta tuttavia dello Stato Islamico, che già nel giugno scorso aveva rivendicato un attacco al confine con la Siria, in cui persero la vita sette guardie di frontiera giordana. Karak è inoltre la città natale del pilota che nel dicembre 2014 precipitò in Siria, dove venne catturato e giustiziato dall’Is. La Giordania partecipa infatti ai raid aerei diretti contro lo Stato Islamico, nell’ambito della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti. “La Giordania vincerà il terrorismo”, titolano i giornali locali, anche se il rischio che il Paese venga travolto dall’ondata jihadista rimane alto, come spiega Andrea Ungari, docente della Luiss e curatore dell’Atlante geopolitico del Mediterraneo per il Cesi:

R. – Il problema della Giordania è un problema che emerge adesso con questo attentato, ma che in realtà tutti gli analisti avevano messo in evidenza già da qualche mese. E questo perché la Giordania, insieme al Libano, vista la vicinanza alla crisi siriana, è uno degli Stati più a rischio proprio a causa di questa crisi: è quindi emerso con questo attentato, anche se in realtà la Giordania è uno dei Paesi che – anche se se ne sa poco in.  Occidente - risente di più, anche riguardo ai campi profughi – insieme alla Turchia – della questione siriana. Ci sono tantissimi campi profughi al bordo proprio, al confine tra Giordania e Siria, all’interno dei quali evidentemente sta cominciando una infiltrazione terroristica che cerca di destabilizzare uno degli Stati del Medio Oriente che è più legato non solo ad Israele, ma anche all’Occidente.

D. – La Giordania ha gli strumenti per poter affrontare questa minaccia? C’è un rischio per la sua stabilità?

R. – Io credo che il rischio sia assolutamente concreto, perché la Giordania è un Paese molto povero – non è assolutamente un Paese ricco! – ed è un Paese che in questi anni ha avuto una serie di finanziamenti da parte dell’Onu proprio per far fronte alla crisi siriana: quindi è un Paese che è effettivamente a rischio di una crisi e di un processo di involuzione, perché questo flusso di profughi ha alterato anche il tessuto socio-economico della Giordania, un po’ come era avvenuto quando i palestinesi, negli anni Settanta, si erano trasferiti tutti dalla Palestina alla Giordania, creando il famoso fenomeno del “Settembre nero”. Quindi c’è un rischio che non solo è di carattere proprio identitario, e quindi socio-identitario, ma anche di carattere economico: la Giordania ha dovuto realizzare lo scorso anno un recovery program, grazie ai finanziamenti dell’Onu, proprio per far fronte all’emergenza di profughi.

D. – Quanto pesa il fattore dei campi profughi rispetto al fatto che la Giordania è un Paese che fa parte della coalizione internazionale che sta combattendo contro lo Stato Islamico?

R. – Sono tutte e due aspetti che ovviamente influiscono: la presenza dei tanti profughi è una presenza abbastanza consistente e ci sono milioni di siriani che sono fuggiti dalla Siria e che sono fuggiti dalla guerra; e poi questo legame occidentale della Giordania ovviamente la mette a rischio, la mette in prima linea di fronte ad un terrorismo che vuole colpire anche gli amici della coalizione occidentale e quindi che non è diretto solamente agli Stati Uniti o all’Europa, ma anche a quei Paesi arabi alleati dell’Occidente. Questo è l’obiettivo primario del terrorismo in questa fase.

D. – E’ solo un messaggio all’Occidente o c’è la possibilità che lo Stato Islamico possa occupare alcuni territori, come già ha fatto in Iraq e in Siria?

R. – Questa è una delle tendenze, ancor prima della nascita dello Stato Islamico: quella della territorializzazione, come era avvenuto in precedenza anche con il tentativo di al-Qaeda in Mali. Quindi che ci sia un tentativo da parte dello Stato Islamico di cercare di acquisire territori di fronte a questa controffensiva, che in qualche maniera è stata fatta dall’alleanza occidentale con la Russia, rientra certamente in un obiettivo di lungo periodo che sicuramente vuole portare all’acquisizione di territori da poter sfruttare e da poter inquadrare all’interno dello Stato.








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