Date alla società l'importante esempio di sollecitudine e tenerezza in particolare verso bambini e anziani. Così il Papa nel suo discorso ai circa 330 membri della Comunità Nomadelfia, ricevuti stamani in Sala Clementina, in Vaticano. Francesco richiama l'esperienza del fondatore, don Zeno Saltini, e sottolinea che chi accoglie i deboli, ama Cristo. Il suo intervento è stato preceduto dalle testimonianze del presidente di Nomadelfia e di diversi membri della Comunità. Il servizio di Debora Donnini:
“Il vostro patrimonio spirituale è legato in modo speciale alla vita di fraternità, caratterizzata in particolare dall’accoglienza ai bambini e dalla cura tutta speciale per gli anziani”. La Comunità di Nomadelfia, che vive vicino Grosseto, è infatti costituita da famiglie e laici cattolici, che accolgono bambini in affido, hanno tutti i beni in comune, lavorano all'interno e non sono pagati. Francesco chiede, dunque, di proseguire su questa strada:
“Vi incoraggio a dare alla società questo esempio di sollecitudine e di tenerezza tanto importante. I bambini e gli anziani costruiscono il futuro dei popoli: i bambini, perché porteranno avanti la storia; gli anziani, perché trasmettono l’esperienza e la saggezza della loro vita. Non stancatevi di coltivare e alimentare questo dialogo tra le generazioni, facendo della fede la vostra stella polare e della Parola di Dio la lezione principale da assimilare e vivere nella concretezza della vita quotidiana”
“Sarete così capaci - sottolinea - di imitare sempre più la prossimità di Dio agli uomini e contemplare nel volto delle persone più fragili l’immagine di Gesù Bambino”.
Don Zeno, testimone coraggioso della carità
Francesco ricorda il fondatore, don Zeno Saltini, che “pur tra difficoltà e incomprensioni
– sottolinea – è andato avanti fiducioso” per portare la buona semente del Vangelo,
anche nei terreni più aridi:
“E ci è riuscito! La vostra comunità di Nomadelfia ne è la prova. Don Zeno si presenta a noi oggi come esempio di fedele discepolo di Cristo che, ad imitazione del divino Maestro, si china sulle sofferenze dei più deboli e dei più poveri diventando testimone di una carità inesausta. Il suo coraggio e la sua perseveranza vi siano di guida nel vostro quotidiano impegno di far fruttificare i germi di bene che egli ha abbondantemente seminato, animato da passione evangelica e sincero amore alla Chiesa”.
Chi accoglie i deboli, ama Gesù Cristo
Francesco ricorda infatti che chi avrà nutrito o accolto un povero, avrà amato lo
stesso Figlio di Dio e chi, al contrario, avrà respinto o dimenticato uno dei più
deboli, “avrà trascurato Dio stesso”. Nel Natale, Dio si rivela non come colui che
sta in alto, ma colui che si abbassa, assumendo l’aspetto fragile di un bambino. In
questo modo Dio insegna che “non dobbiamo metterci al di sopra degli altri” ma che
“siamo chiamati ad abbassarci, a servire con amore i più deboli” perché se Dio, tramite
la venuta di suo Figlio, si è coinvolto con l’uomo fino “a farsi come uno di noi,
eccetto il peccato”, ne consegue che “qualunque cosa avremo fatto a uno dei più piccoli
l’avremo fatta a Lui”.
Le testimonianze di membri di Nomadelfia
Un dipinto variegato di cosa sia Nomadelfia era stato offerto prima dai suoi stessi
membri. “Siamo un popolo di volontari cattolici, che cercano di realizzare una civiltà
nuova fondata sul Vangelo”, dice Francesco Materazzo, il presidente della Comunità,
al Papa: il legame fra famiglie e singoli è dato dalla fede. Quindi interviene una
cosiddetta “Mamma di Vocazione”, cioè una donna che unisce verginità e maternità accogliendo
e portando all’età adulta i ragazzi, come fece Irene, la prima a diventare “Mamma
di Vocazione” di alcuni ragazzini che don Zeno aveva accolto come “figli” nella canonica.
Poi, nel Dopoguerra, tante famiglie si sono aperte a questa missione, disponibili
ad accogliere figli in affido accanto ai propri. La famiglia di Nomadelfia non vive
isolata ma assieme ad altre 3 o 4 famiglie, spiega poi una sposa, si condividono pasti
e attività mentre in casette indipendenti c’è la zona notte dei singoli nuclei familiari.
Profondo l’aiuto fra loro nella cura dei bambini. A Nomadelfia non circola denaro
ma ciascuno riceve secondo sobrietà ciò di cui ha bisogno per vivere: ogni lavoro
viene fatto per produrre i beni necessari a tutti, spiega un uomo. E ancora un ragazzo
racconta davanti al Papa come sono le scuole a Nomadelfia. Non ci sono voti, i più
capaci aiutano coloro che fanno più fatica. Una giovane si sofferma invece sulle Serate
di Nomadelfia, durante l’estate, quando si porta sulle piazze d’Italia la proposta
di una società fraterna. Infine don Ferdinando, successore di don Zeno parla del cuore
dell’esperienza, chiede la benedizione del Papa perché dopo la morte di don Zeno e
di “mamma” Irene, “abbiamo bisogno - dice - della mano di Dio per andare avanti”.
“Una sua visita” ci confermerebbe nel cammino, dice al Papa aprendo anche alla disponibilità
ad affrontare nuove emergenze della società:
“Le emergenze migratorie di questi tempi mettono in evidenza quanto sarebbe benefica la presenza di famiglie come le nostre, aperte all’accoglienza di minori. Se il Signore ci apre porte e cammini noi siamo disponibili ad entrarvi e a percorrerli”.
“Voi siete naufraghi salvati”, diceva infatti don Zeno ai primi “figli” che prese con sé. E aggiungeva: “Il Signore vuol fare di noi un popolo di salvatori di naufraghi”.
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