2016-12-13 13:44:00

Mali-Ue: firmato accordo su migranti e cooperazione


L’Unione Europea ha firmato con il Mali il primo di una serie di accordi per facilitare il ritorno dei migranti le cui richieste d’asilo sono state respinte, con l’obiettivo di frenare l’immigrazione affrontandone le cause nei paesi di origine e di transito. Francesco Gnagni ne ha parlato con Luigi Serra, già preside della facoltà di Studi Arabo-Islamici all’Università Orientale di Napoli ed esperto dell’area:

R. – Io credo che l’atteggiamento e la scelta fatta dall’Unione Europea possa lasciar sperare in un cambiamento. Io penso che i flussi migratori siano irreversibili, perché concorrono a due fenomeni contestuali, l’uno concatenato all’altro ed esplicabile con l’altro.  Vale a dire: siamo autorizzati  a pensare che con l’inettitudine a risolvere questo grande problema, noi stiamo spopolando l’Africa delle forze migliori, giovani; dall’altro punto di vista si sta traumatizzando l’equilibrio socio-culturale e socio-politico, probabilmente si potrebbe anche aggiungere demografico, europeo e occidentale.

D. – E infatti il ministro degli Esteri olandese ha affermato che solo in questo modo, e cioè tramite la cooperazione, si può affrontare il problema migratorio alla radice. Condivide queste parole?

R. – Dietro questo accordo si può già cominciare a lavorare per creare vettori, strumenti, percorsi di cooperazione. Perché è l’unica maniera! Noi dobbiamo intervenire in quei luoghi; noi dobbiamo dare fiducia alle popolazioni africane, quali che siano i costi dell’Europa. Perché si tratta di investire sul capitale umano, sulle culture, sulle civiltà; di agire all’interno dei percorsi religiosi e quanto altro. Sicché ogni costo non è più un costo, ma è solo un investimento! Noi dobbiamo dare fiducia alle genti africani, convincendole che rimanere nella loro terra li aiuta forse a fare dell’Africa quello che ultimamente a Dakar: si diceva in un atelier del pensiero africano “L'avenir du monde se joue en Afrique”.

D. – E l’Europa spesso sembra non accorgersi di questo. L’accordo, tuttavia, prevede anche tutta una serie di iniziative per favorire il lavoro giovanile in Mali. Qual è, quindi, la situazione nel Paese?

R. – Il Mali si trova nel cuore di queste dinamiche, stretto fra Niger, Ciad, Nigeria, Algeria, Libia: Paesi che nell’apparente calma hanno i loro problemi – alludo alla Mauritania, alludo al Marocco, alludo all’Algeria e in parte alla Tunisia – chi nella sua dimensione attuale ha le sue tragedie e penso direttamente alla Libia. Quindi è un crogiuolo di vettori, in cui il fallimento dell’umanità può trovare attuazione. E non solo per via dei contrasti, dovuti alle forze interne a quei Paesi, al grande problema del terrorismo interpretato e attuato da Boko Haram di turno e quanto altro…

D. – Quali sono i risultati raggiunti finora e quali sono, invece, le emergenze in Mali?

R. – L’emergenza del Paese è anzitutto quella di andare oltre le aspettative che Minusma consentiva di immaginare, non avendo questi contingenti di presenza concordata militare e di sorveglianza in Mali tra le forze locali e l’Onu  dato alcun risultato effettivo. Perché il rischio di scontri, il rischio di conflittualità rimaneva forte e rimane ancora forte all’interno delle componenti. Il problema è quello di ancorare i giovani attraverso programmi di acculturazione innanzitutto, sia dal punto di vista puramente intellettuale e culturale, della formazione e dell’istruzione, sia anche dal punto di vista della individuazione di campi di attività, coerenti con le tradizioni locali, coerenti con le disponibilità locali di beni e di strutture, dando così al giovane e ai giovani una certezza di continuità nella strada intrapresa attraverso sostegni effettivi. E penso ad investimenti; penso a formatori; penso a processi di educazione nel materiale come nello spirituale…








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