Più di mezzo milione di sfollati nell'ultimo anno in Afghanistan che, sommandosi a quelli già presenti all'interno del Paese, fanno un totale di 1,3 milioni: è l'ultimo dato allarmante di cui parla l'Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari della Nazioni Unite (Ocha) a Kabul, sottolineando che la condizione più preoccupante è quella di un incremento costante di questi numeri, raddoppiati rispetto al 2014 e quadruplicati dal 2013. Per la prima volta inoltre, sostiene l'Ocha, in un Paese dove sempre più distretti sono colpiti dagli scontri tra ribelli, talebani e Daesh - sono 198 su 399 quelli interessati dal conflitto - gli sfollati si trovano sparsi in 34 province. Francesco Gnagni ne ha parlato con Marco Lombardi, responsabile dei progetti educativi in Afghanistan dell'Università Cattolica di Milano:
R. – Il numero degli sfollati in Afghanistan sta aumentando e sta aumentando con delle conseguenze indirette rilevanti: per esempio recentemente Kabul è stata dichiarata area sicura e questo permette che ci sia una forma formale di deresponsabilizzazione nell’accoglienza dei nuovi rifugiati che l’Afghanistan produrrà. D’altra parte la situazione afghana è in deterioramento e non ci aspettiamo che le cose migliorino: l’Afghanistan, abbandonato a se stesso, è diventato un luogo di incertissima governance da parte del governo afghano; è diventato un luogo di conquista non solo da parte dei vecchi talebani, perché sta anche subendo le pressioni del Daesh e del terrorismo che noi conosciamo. Quindi il risultato è quello di avere un progressivo numero in aumento di persone che lasciano i loro luoghi di residenza. La gente ha paura; la gente non vede un futuro; la gente è incerta; la gente non vede un governo che possa dare qualche sicurezza; la gente vede soprattutto un governo che è sempre molto corrotto: è quindi gente che scappa!
D. – Molti di loro sembrano anche impossibilitati dal ricevere aiuti umanitari. Il rappresentante dei coordinamenti umanitari dell’Onu sostiene che queste statistiche devono portare ad un ripensamento dell’assistenza agli sfollati e che cioè non devono essere soltanto portati aiuti, ma devono anche essere mirati a ricostruire le loro vite…
R. – Direi che questa strategia è fondamentale! Portare aiuti agli sfollati è una risposta umanitaria che permette la sopravvivenza nell’emergenza. Ma non è la soluzione del problema: la soluzione del problema sta nel risolvere le cause stesse del problema e nel caso dell’Afghanistan un buono governo è auspicabile sempre. Il grande punto di domanda è l’aumento della sicurezza. Dall’altra la politica che deve essere sviluppata è sicuramente quella di non portare semplicemente aiuti umanitari, ma mettere la gente nella condizione di ripristinare condizioni normali di vita. Anche perché viviamo in un mondo che sta purtroppo aumentando in termini di conflitti e ricordiamoci che Papa Francesco ha azzeccato una definizione che nessun politico ha mai accettato o che si permette di dire e cioè che stiamo combattendo "la terza guerra mondiale a pezzi”; oggi viviamo di conflitti persi per il mondo, che sono però interrelati fra di loro: questi non fanno che promuovere il numero di sfollati e quindi di rifugiati, di gente che scappa. E quando il numero dei rifugiati aumenta così tanto, non possiamo permetterci che si svuotino aree del Pianeta, che restano in mano a governi fallimentari o addirittura vengano occupate dal terrorismo. Dobbiamo rinforzare la capacità della gente a continuare a vivere il territorio: è molto più difficile e oltretutto richiede una assunzione di responsabilità da parte dei governi completamente diversa rispetto al passato. E’ più facile aiutare buttando una moneta o una pagnotta che non, invece, aiutare intervenendo per dare la possibilità di ricostruire insieme il futuro.
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