2016-11-12 18:50:00

Manifestazioni contro Trump, lui richiama all'unità


Quarto giorno di proteste negli Stati Uniti dopo l’elezione del presidente Donald Trump. A Portland si registra un ferito per un colpo di pistola, mentre il neoeletto inquilino della Casa Bianca ha illustrato le priorità del suo programma che dovranno essere attuate nei primi 100 giorni. Massimiliano Menichetti:

"Not my president", “Non è il mio presidente” è lo slogan gridato a New York, Atlanta e in altre città degli Stati Uniti contro Donald Trump. A Portald, in Oregon, una persona è rimasta ferita per colpo di pistola. A Los Angeles la polizia ha arrestato 200 persone, ma migliaia in tutto il Paese continuano a manifestare, come davanti alcune ambasciate europee come a Berlino. Il magnate repubblicano intanto dal suo profilo Twitter continua a richiamare all’unità. Ha presentato le priorità del suo programma di governo in linea con quanto detto nel suo primo discorso dopo la vittoria. In testa il rilancio dell’occupazione e lotta a immigrazione illegale, poi la semplificazione fiscale, la cancellazione alle restrizioni sull’energia e agli stanziamenti all’Onu per gli accordi sui cambiamenti climatici. Forse saranno salvati alcuni punti della riforma sanitaria voluta da Obama, comunque considerata troppo costosa. Sul fronte estero si riapre la porta con la Russia e Trump ribadisce la lotta contro l'Is, ma non al presidente siriano Assad. Intanto secondo il Washington Post per la prima volta nella storia del Paese una donna potrebbe andare a capo del Pentagono.

 

Delle sfide che aspettano la nuova presidenza,Roberta Barbi ha parlato con Fulvio Scaglione, già vicedirettore di Famiglia Cristiana:

R. – In campagna elettorale, Donald Trump si è caricato di molti impegni, sia all’interno - cioè verso i cittadini americani - sia all’esterno, verso la cosiddetta “comunità internazionale”. All’interno, credo che l’impegno maggiore sia quello di far ripartire la macchina economica americana attraverso un’iniezione di liberismo.

D. – Uno dei punti chiave è l’immigrazione: si parla dell’espulsione dei circa due milioni di immigrati irregolari che hanno commesso reati; della cancellazione dei visti di ingresso ai Paesi che non si riprendono gli immigrati; e della sospensione dell’immigrazione dai Paesi in conflitto dove c’è terrorismo…

R. – È anche una delle cose di più difficile applicazione, perché uno dei grandi “plus” dell’America contemporanea è stato proprio quello di saper attrarre risorse umane, intelligenze, volontà, energie, proprio un po’ da tutto il mondo; di saperle attrarre anche con la forza delle proprie università e del proprio “melting pot”. Intervenire su questo sarà un grosso problema per Trump, anche se una qualche concessione alle promesse fatte in campagna elettorale dovrà farla. Vedremo se riuscirà a bilanciare qualche provvedimento restrittivo con, invece, una strategia che consenta agli Usa di continuare a essere quel centro di attrazione che tutti conoscono.

D. – Per quanto riguarda le sue posizioni sulla teoria gender?

R. – Ho avuto l’impressione, in questa campagna elettorale, che i riferimenti all’etica e alla bioetica fossero un po’ scontati, fatti un po’ per dovere, un po’ per rispettare anche il proprio personaggio, più attaccato ai valori. Credo che, poi, la strada scelta sarà anche per Trump una strada in fondo mediana.

D. – Un altro punto importante è la semplificazione fiscale, che dovrebbe portare molti vantaggi alla classe media, provata dalla crisi, e la deregulation sui prestiti da parte delle banche…

R. – Questo fa sempre parte di questa ambizione liberale e liberista che, però, poi deve essere anche realizzata. Molti passi nel senso di una maggiore deregulation sono stati fatti, e farne di ulteriori potrebbe sconvolgere degli equilibri che noi è poi facile ricostruire. Non a caso Trump, sulla riforma della sanità – la cosiddetta “salute per tutti”: l’Obamacare – ha già fatto qualche passo indietro: durante la campagna elettorale aveva detto che andava smontato tutto; adesso dice che forse certe parti si possono mantenere, perché comunque lui sa che l’America non è questa macchina automatica per cui a minori tasse corrispondono maggiori iniziative economiche. Fu esattamente la ricetta del “denaro più facile e minori tasse” a innescare, per esempio, nel 2008 la bolla immobiliare che poi ha fatto così tanti disastri.

D. – Ha fatto discutere anche la sua posizione sui cambiamenti climatici, anche se il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, si è detto “fiducioso” sul fatto che non annullerà l’adesione degli Stati Uniti all’accordo sul clima…

R. – Io non credo che Trump prenderà delle iniziative così clamorose. Credo che la denuncia degli accordi sul clima facesse parte, in campagna elettorale, del suo atteggiamento di “America first”, e quindi di lavoratori americani prima di chiunque altro: cerchiamo di perseguire il loro benessere prima di quello di chiunque altro, e anche di quello del Pianeta. Ma andrà abbastanza con i piedi di piombo in questo settore, perché è un settore dove c’è tutto un complesso di relazioni internazionali che vanno comunque curate: ad esempio, sul clima erano stati raggiunti degli accordi con la Cina e abbandonare questi accordi potrebbe creare qualche problema.

D. – Cosa si può dire sulla politica energetica?

R. – La politica energetica degli Stati Uniti in questo momento è una sorta di “unicum” storico, perché per la prima volta nella storia il Paese che consuma più petrolio – gli Stati Uniti – è anche il primo Paese produttore di petrolio al mondo. Dal punto di vista delle forniture energetiche, gli Stati Uniti sono assolutamente al riparo da tutto, e anzi sono in grado di diventare fornitori, cosa che non hanno mai fatto, perché solo di recente è stato abolito il divieto di esportare petrolio. Credo che il tema della politica energetica non sia uno dei temi al primo posto dell’agenda di Donald Trump.








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