2016-11-12 07:00:00

Auschwitz, viaggio della memoria dei medici nel lager nazista


La Shoah dei medici: si è concluso il viaggio della memoria di medici e ricercatori dell’Ospedale Israelitico e dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ai campi di sterminio nazista di Auschwitz e Birkenau, organizzato dalla Fondazione Museo della Shoah. Una visita guidata dal sopravvissuto Sami Modiano, che ha accompagnato la delegazione attraverso i luoghi dell’orrore e soffermandosi inevitabilmente sul ruolo – tragico e cruciale – che la figura del medico ha avuto nell’eccidio dei campi di concentramento. Francesco Gnagni ne ha parlato con il presidente della Fondazione Museo della Shoah Mario Venezia:

R. – I viaggi della memoria, come vengono definiti – io preferisco definirli “itinerari” della memoria – sono importanti; per motivazioni varie. Questo lo trovo molto peculiare, molto significativo perché vede insieme due enti religiosi – il Bambin Gesù e l’Ospedale Israelitico – che vanno insieme, che decidono – questa è l’idea originaria – di partecipare a un progetto comune che non sia legato direttamente all’attività istituzionale, ma che abbia una forte valenza etico-morale. Quindi ho veramente molto apprezzato questa iniziativa; e abbiamo dato tutto il supporto possibile come Fondazione. Come oltretutto il fatto che fossero presenti così tanti medici qualificati e di altissimo livello ha dato anche un valore medico-scientifico assolutamente nuovo.

D. – Cosa può significare per un’équipe di medici, oggi, trovarsi a far parte di quell’esperienza, visto anche il ruolo che all’epoca la categoria dei medici ha avuto nell’organizzazione della macchina della morte nei capi nazisti?

R. – La parte medica – se mi consente – sicuramente è molto, molto significativa nella narrazione di quanto è avvenuto in quei luoghi orribili. Sappiamo, abbiamo tutte le evidenze che il nazismo dava grande risalto all’attività scientifica – seppur distorta – nei campi …

D. – Come è nata l’idea, da parte della sua Fondazione, di organizzare questo viaggio? Si stanno realizzando altri appuntamenti?

R. – Sicuramente sì. L’idea nasce dall’incontro tra i due ospedali, tra i due enti religiosi che – devo dire – stavano cercando, in modo veramente eccellente, un inizio di collaborazione anche di tipo etico-morale. La Fondazione si è resa immediatamente disponibile a dare il proprio supporto. Per quanto riguarda invece la prosecuzione delle attività, stiamo già pensando a una programmazione – sempre rivolta a entrambi gli enti insieme – relativa alla comunità ebraica di Rodi: un bellissimo documentario realizzato anche con il contributo della Fondazione, ormai tre-quattro anni fa. Noi vogliamo evitare che il viaggio rimanga un episodio isolato, e che invece diventi una tappa di un percorso, e il percorso è bello farlo con le persone amiche con le quali si è condivisa un’esperienza così forte.

Abbiamo sentito anche un medico che ha partecipato al viaggio, il dott. Ruggero Parrotto, coordinatore generale dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù:

 

R. – E’ stato un viaggio straordinario. E’ nato dall’idea di vivere un’esperienza insieme, Bambino Gesù e Ospedale Israelitico, quindi con la comunità ebraica di Roma, che ha permesso a 25 medici e ricercatori del Bambino Gesù e 25 medici dell’Ospedale Israelitico di vivere questa esperienza. Credo che sia stata un’esperienza straordinaria per tutti, drammatica, forte …

D. – Quali insegnamenti – non solo dal punto di vista umano, ma anche da quello professionale – si possono trarre da un viaggio del genere?

R. – Innanzitutto un insegnamento personale molto forte. Il fatto che poco più di 70 anni fa sia potuta accadere una cosa di questo tipo credo che implichi anche un’assunzione di responsabilità personale. Cioè, l’uomo ha fatto delle cose incredibilmente gravi, una ferita quasi mortale per la coscienza dell’umanità. E la seconda è professionale. Io credo che per i medici e ricercatori che mettono la vita al centro, toccare con mano elementi che avevano deciso di fare esperimenti sui bambini, sulle cavie umane, che abbiano deciso di provare ad annientare una “razza”, come la chiamavano loro, ecco, credo che per un medico, per un ricercatore che pone la vita al centro sia stato un richiamo fortissimo. Per un medico e per un ricercatore, la vita di una persona è senso della propria scelta professionale.

D. – C’è qualcosa, nel dettaglio, che le è rimasto maggiormente impresso, che l’ha colpita?

R. – C’era un sopravvissuto che ci ha raccontato, portandoci nei luoghi dove lui è stato deportato, dove lui salutava a gesti la sorella che era dall’altra parte del campo e dove lui ha salutato per l’ultima volta il papà. E’ difficile dirle l’emozione e la sofferenza che abbiamo provato nell’ascoltare il racconto di Sami Modiano mentre eravamo lì, sul posto …

 








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