2016-11-11 14:23:00

Parroco Norcia: gente confusa e smarrita, ma con una fede profonda


A quasi due settimane dalla scossa di terremoto che ha distrutto le principali chiese di Norcia e reso inagibile tutto il suo centro storico, la popolazione della città umbra è ormai sparsa sul territorio. Poche decine di persone abitano in una tensostruttura accanto all'ospedale, dove è stata allestita una cappella il cui ingresso è diventato la Porta Santa della misericordia. Qui, il nostro inviato Fabio Colagrande ha incontrato il parroco di Norcia, don Marco Rufini:

R. – Siamo in un momento complicato dove ancora la paura è fortissima e viviamo anche un certo senso di confusione e di smarrimento, anche in ordine ai pensieri sul futuro ma anche al tipo di proposte e soluzioni che ci aspetteremmo da parte delle istituzioni. E’ un momento molto complesso, sinceramente: anche queste tende che vedete qui, in teoria, non avrebbero dovuto esserci più, avrebbero dovuto essere smontate dopo il 30 settembre … Poi, per fortuna – a volte i ritardi dell’Italia producono degli effetti positivi – hanno ritardato nello smontarle e immediatamente dopo il sisma di domenica mattina si sono riempite di persone che se non stessero qui, in questo momento, non avrebbero alternativa all’automobile.

D. – Dopo il 30 ottobre, com’è cambiata la vita di questa comunità - che lei guida dal 2015 - e quali sono le difficoltà materiali ma anche di ordine psicologico, spirituale?

R. – Adesso è una comunità estremamente frammentata, perché un numero di persone non facilmente calcolabile non è qui: tra chi ha scelto di essere ospitato negli alberghi e chi, magari, è tornato o è andato da parenti, amici, fuori … Quindi è una comunità, in questo momento, disgregata e che è anche difficile riaggregare proprio per il momento che viviamo: perché questa tensostruttura che abbiamo qui è di fatto l’unica struttura comunitaria in tutto il territorio, tolti i refettori e le mense della Protezione Civile.

D. – Lei che si trova ogni giorno a gestire questa comunità, sa che anche la fede vacilla, di fronte a certe difficoltà, a una certa confusione: o no?

R. – Paradossalmente, nelle situazioni come questa, i semi che magari lungo la strada della vita sono stati posti nella storia delle persone, sembrano quasi trovare le condizioni favorevoli per germogliare e portare frutto. La gente ci è d’esempio. A volte, noi abbiamo dei nostri criteri per dare giudizi sulla vita di fede delle persone, che magari sono tutti nostri; ma fortunatamente, spero, non sono quelli del Padre Eterno … Si scopre così che nel profondo delle persone c’è una sostanza fatta di essenzialità dove si coglie che il rapporto con Dio, anche se vissuto in maniera diversa, è qualcosa di radicato, profondo. Questa è proprio una scoperta. Al di là del fatto che qui oramai non ci sono molte persone, mi è capitato di vedere partecipare alla Messa della domenica persone che normalmente non la frequentano. Ma non è che vengono perché la paura del momento le spinge, ma si coglie in loro un senso di fede che magari era rimasto nascosto e che in questa situazione è riemerso in maniera forte.

D. – E’ vero che qui la gente vuole rimanere, nonostante tutto?

R. – Diciamo che la gente desidererebbe tanto rimanere, ma non è semplice. Perché rimanere significa avere la possibilità di rimanere, avere un minimo di dignità di vita assicurata: non basta che si riaprano le scuole se poi le famiglie debbono stare qui in condizioni che non permettono di vivere una vita dignitosa anche come famiglia. Con i figli, con i bambini non si può svernare in una tenda o in una roulotte o in strutture comunitarie di grandi dimensioni: è una cosa rischiosissima, soprattutto se deve essere un’esperienza di diversi mesi. Credo che sia una delle occasioni nelle quali va difesa la famiglia …








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