2016-11-11 14:39:00

Aids in Africa: premiato progetto Dream di Sant'Egidio


Per l'impresa "eccezionale di alto valore morale umanitario”, il Premio Antonio Feltrinelli dell'Accademia dei Lincei è stato conferito quest'anno al programma DREAM della Comunità di Sant’Egidio. Il progetto per la cura dell'Aids è attivo in dieci Paesi africani e, da oggi, con questo alto riconoscimento, si potrà procedere alla realizzazione, in Mozambico, di un Centro della Salute a Zimpeto, punto fermo per donne e bambini per il trattamento dell’infezione da HIV, per la diagnosi precoce delle neoplasie e per la cura della tubercolosi. Inoltre, si prevede un'area per la nutrizione dei pazienti malnutriti. DREAM da anni assicura un concreto sostegno a milioni di persone indigenti grazie ad interventi di educazione sanitaria, corsi di prevenzione e distribuzione di cibo. Grazie ai 46 centri di salute attivi, integrati da 24 laboratori di biologia molecolare, sono 63.000 i bambini, ad oggi, nati sani da mamme sieropositive. Ce ne parla Paola Germano, direttore esecutivo del programma DREAM, nell’intervista di Sabrina Spagnoli:

R. – È una grande emozione e un grande onore ricevere questo premio. È un premio prestigioso, da parte di una comunità accademica importante per l'Italia e internazionalmente. Noi siamo molto colpiti e siamo anche molto grati per questo perché, al di là del fatto che è un premio prestigioso, vuole anche dire che è un sostegno a un’attività concreta: un centro per le donne e i bambini nella periferia nord di Maputo, un centro di riferimento per la cura di molti.

D. – Com’era la situazione appena voi siete arrivati in Africa, e com’è ora dopo aver attuato il vostro progetto?

R. – Noi abbiamo cominciato proprio in Mozambico, dove c’è il centro che ha ricevuto il premio. Quando siamo arrivati non c’erano neanche i farmaci antiretrovirali, intendo intorno agli anni 2000. Abbiamo prima dovuto combattere con il governo del Paese, poi anche con i vari governi degli altri Paesi in cui lavoriamo, per introdurre i farmaci antiretrovirali che da noi (in Italia, ndr) erano accessibili a tutti, ma in Africa no. Abbiamo lavorato moltissimo in formazione: mancavano i quadri sanitari per i medici, gli infermieri e quindi abbiamo dovuto fare un grande lavoro di costruzione di infrastrutture e di personale sanitario e anche cambiare la mentalità. In questo ci sono stati molto d’aiuto i pazienti, e in particolare le donne sieropositive che, un po’ per volta, sono diventate protagoniste del lavoro che facciamo, di questo programma. E loro stesse si sono rese testimoni contro lo stigma, perché anche questo è un aspetto importante. Si possono portare e distribuire tutte le medicine che vogliamo, che non è poco, ma se non c’è l’aderenza e la partecipazione dei pazienti, l’abbattimento dello stigma, di quel senso di condanna sociale, è molto difficile fare una cura come quella dell’Aids che dura tutta la vita.

D. – Come si svolge la campagna di prevenzione rivolta alle donne riguardo Hiv, neoplasie e tubercolosi?

R. – Sono campi diversi. Per le donne in gravidanza ci sono dei protocolli diagnostico-terapeutici per la prevenzione, per far nascere il bambino sano, così come si fa da noi, da sempre, sin dall'inizio della scoperta degli antiretrovirali. Abbiamo risultati eccellenti su questo: il 98 percento dei bambini nasce sano da madre sieropositiva, il che significa una generazione futura nuova. Inoltre, ormai da due-tre anni abbiamo cominciato un lavoro di screening per il cancro, quello dell'utero e quello del seno,  che sta diventando un grave problema anche in Africa. Anzi, direi che lì ancora di più, perché quello dell'utero colpisce il 50% delle donne. Quindi, è necessario fare un’operazione di prevenzione, per evitare che arrivino da noi ad uno stadio talmente avanzato da richiedere chemioterapia o radioterapia, cure non accessibili in Africa attualmente. Quindi, la prevenzione salva le vite.

D. – Qual è il ruolo della Chiesa nella vostra battaglia?

R. – Il nostro programma è sostenuto anche dalla Conferenza episcopale italiana. In tutti i Paesi africani nei quali lavoriamo, ci relazioniamo a molte congregazioni religiose. Queste ci hanno chiesto aiuto, perché avevano ospedali, centri di salute, ma non sapevano, ad esempio, come affrontare il problema dell’Aids che ha una sua complessità. Quindi, abbiamo cominciato a lavorare insieme dovunque. C’è un’ottima collaborazione e c’è anche un senso di sinergia che fa la forza. Anche perché la battaglia contro l’Aids in Africa è una battaglia contro dei numeri molto grandi, e nessuno può farcela da solo. Quindi, questa sinergia permette di curare sempre più gente e anche di formare sempre più personale sanitario di cui l’Africa ha bisogno. E questo lo facciamo insieme.








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