2016-11-10 19:14:00

Trump da Obama alla Casa Bianca. Ma gli Usa scendono in piazza


Il neo eletto presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha varcato oggi la soglia della Casa Bianca per l’atteso colloquio con Barak Obama. Un incontro che si è dipanato sulla scia di cordialità e spritito di collaborazione. Intanto si lavora per la transizione, con la squadra preposta che avrebbe già pronta la lista dei nomi della nuova amministrazione. Sullo sfondo le imponenti manifestazioni anti-Trump in 25 grandi città, centinaia gli arresti. Paola Simonetti:

“Una conversazione eccellente”: così Obama ha definito il colloquio con il neo eletto presidente Trump, ospitato alla Casa Bianca a poche ore dall’esito del voto che lo ha visto vincente, sottolineando inoltre che nella discussione sono entrati 'temi importanti".- "E' stato un grande onore. Non vedo l'ora di continuare a collaborare con Obama in futuro, è una gran brava persona": queste  le prime parole invece di Trump al termine di un incontro più lungo dei trenta minuti previsti. Un primo appuntamento destinato a riportare serenità ed equilibrio dopo una campagna elettorale incandescente, che sembra sancire l’inizio del passaggio di poteri che culminerà nell'avvicendamento il prossimo 20 gennaio. "Faremo di tutto per aiutarla e per farla sentire il benvenuto", ha aggiunto Obama prima dei saluti finali. Al lavoro, intanto, la squadra impegnata sulla transizione: avrebbe già elaborato una lista di 41 nomi per riempire le caselle della futura amministrazione. Ma gli Stati Uniti sono sotto shock, i molti cittadini che non si sentono rappresentati dal nuovo futuro inquilino della Casa Bianca hanno costituito cortei spontanei e manifestazioni imponenti come mai prima in America si sono consumate in almeno 25 grandi città. A New York, Los Angeles, Chicago, Oakland le proteste più dure segnate da scontri con la polizia, che ha arrestato centinaia di manifestanti. 

Per un’analis dei risultati del votoi, Elvira Ragosta ha intervistato Annalisa Perteghella, ricercatrice dell'Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi):

R. – Stiamo assistendo alle immagini di un'America divisa: questo è il dato principale che è emerso dalle elezioni. C’è una larga parte dell’elettorato che non si riconosce nel presidente eletto, tant'è vero che Trump ha vinto la maggioranza dei collegi elettorali, ma non la maggioranza del voto popolare, che è stata invece vinta da Hillary Clinton. Stiamo anche assistendo ai risultati di una campagna elettorale sicuramente velenosa. Tutto questo non poteva, non può e non potrà nei prossimi mesi passare inosservato. Per cui, in un certo senso, è naturale quello che sta accadendo; naturale sì, ma non normale perché l’America è invece una democrazia solida e consolidata, in cui il problema della legittimità del presidente non è mai stata messa così tanto in discussione.

D. – L’invito a lavorare insieme per ricostruire la Nazione da parte di Donald Trump come sarà accolto, secondo lei?

R. – Sarà accolto bene. Poi bisognerà vedere effettivamente che cosa Donald Trump avrà in mente. In questo momento prevale un atteggiamento di attendismo: si sta un attimo a guardare di chi Trump si circonderà, quali persone metterà nei posti chiave e quali proposte poi effettivamente formulerà.

D. – Veniamo alle reazioni e ai rapporti internazionali. “Vogliamo e dobbiamo lavorare con gli Stati Uniti - dice il presidente della Commissione Europea Junker - ma dobbiamo farlo alla pari”…

R. – Queste elezioni sono state viste in Europa come una sorte di campanello di allarme, una “wake-up call”, di cui si parlava però già dopo la Brexit, lo scorso giugno. Non mi sembra che l’atteggiamento europeo in questi mesi sia stato particolarmente costruttivo in questo senso. L’anno prossimo – il 2017 – è un anno di appuntamenti elettorali importantissimi per l’Europa: si vota in Francia, si vota in Germania e si rinnova il Parlamento olandese…

D. – E, secondo lei, quanto influenzerà la vittoria di Trump su queste consultazioni elettorali?

R. – Ci sono dei grossi movimenti antisistema e fortemente antieuropeisti che minacciano i cosiddetti partiti tradizionali. Al tempo stesso, però, vedremo e assisteremo - secondo me - ad una difficoltà da parte dei partiti tradizionali di presentarsi alle urne, l’anno prossimo, con una forte agenda europeista, perché l’Europa in questo momento non piace ai cittadini.

D. – Per quanto riguarda, invece, il versante asiatico, "gli Stati Uniti devono trattare la Corea del Nord alla pari, da potenza nucleare": questo è il messaggio di un editoriale pubblicato sul 'Rodong Sinmun', organo del Partito dei Lavoratori di Pyongyang. Nel frattempo il neopresidente Trump conferma l’impegno per la sicurezza all’alleata Corea del Sud. Che scenari si aprono?

R. – Anche qui direi che regna l’incertezza: perché se da un lato, Trump, in campagna elettorale, ha rimarcato di voler tornare all’isolazionismo e quindi sganciarsi un po’ dagli impegni multilaterali o perlomeno far pagare di più agli alleati la presenza degli Stati Uniti, dall’altra, poi, c’è sempre l’incognita del come effettivamente e se sarà possibile, perché Trump non governerà da solo ed avrà anche un Congresso che – per quanto repubblicano – non la pensa esattamente come lui. Anche qui regna un po’ l’incognita. E’ stata naturale la telefonata di Trump a Park, la leader sudcoreana, perché in questo momento l’importante è rassicurare gli alleati, che si guardano un po’ intorno, circospetti, dalla Corea all’Europa.








All the contents on this site are copyrighted ©.