2016-11-08 12:24:00

A Marrakech la sfida per salvare il pianeta dai gas serra


Le temperature record raggiunte nel 2015 diventeranno la norma prima del 2030, a meno di ridurre sostanzialmente le emissioni di gas serra. Lo indica un nuovo studio dell'Australian National University pubblicato in concomitanza della 22.ma Conferenza Onu sul cambiamento climatico in corso a Marrakech. In Marocco fino al 18 novembre, rappresentanti di nazioni, operatori del settore e Ong, discuteranno l'attuazione dell'accordo sul clima raggiunto lo scorso anno a Parigi ed entrato in vigore venerdì scorso. Massimiliano Menichetti ha intervistato il prof. Vincenzo Buonomo, Capo Ufficio della Rappresentanza della Santa Sede presso le Organizzazioni Internazionali Governative:

R. – Stando ai dati che l’anno scorso, durante la Conferenza di Parigi, sono emersi credo che siamo nella media che era già stata individuata, cioè di non dover superare il limite di un grado e mezzo rispetto ai livelli precedenti all’industrializzazione, perché bisogna stare ben al di sotto dei due gradi. Ora, la prospettiva per il 2030 credo che crei un’ulteriore soglia di attenzione: non direi proprio di allarme, ma di attenzione sì. Perché se a Parigi non c’è stato un risultato, questo significa aver eliminato qualunque possibilità di ricorrere ancora al carbone e quindi alla produzione di CO2 che è il principale inquinante, il principale protagonista dell’innalzamento delle temperature.

D. – In Marocco, a Marrakech, fino al 18 novembre di fatto ci si incontra per attuare gli accordi di Parigi, entrati in vigore peraltro venerdì scorso. Qual è lo scenario?

R. – L’impegno di Parigi, al di là degli aspetti più direttamente legati alle questioni delle temperature, è anche legato al finanziamento, soprattutto per aiutare i Paesi in via di sviluppo, che ricorrono ancora massicciamente all’uso del carbone per produrre energia, a ridurre questo tipo di riferimento. Per questo, già dal 2020, anno in cui l’accordo sarà effettivamente implementato, è necessario un finanziamento di circa 100 miliardi di dollari l’anno, una cifra che certamente si può raggiungere, però bisogna un attimo capire in che modo e quali sono le disponibilità dei singoli Stati.

D. – Questo diventerà realtà?

R. – Io spero di sì! Però, tengo presente anche il dato che l’aiuto pubblico allo sviluppo complessivamente, nel 2015, è stato di 131 miliardi di dollari, quindi a quelli poi bisognerebbe aggiungerne altri 100, per esempio, per poter finanziare la de-carbonizzazione. Allora, questo credo che sia un impegno che gli Stati devono necessariamente affermare adesso, non tralasciarlo e magari aspettare il 2020.

D. – L’accordo è entrato in vigore venerdì scorso, ma adesso sono due i punti che vanno resi operativi …

R. – C’è il problema di fare i piani nazionali, che dovrebbero dare implementazione all’accordo; piani nazionali che significa che ogni Paese, sulla base delle proprie esigenze, della sua politica energetica e della sua politica economica, dovrebbe cercare di dare esecuzione all’accordo. Questo è il primo punto. E chiaramente qui avremo delle realtà differenziate. Poi c’è l’attenzione che bisogna dare alla pressione della realtà climatica su settori come l’agricoltura, quindi in riferimento ai problemi dell’alimentazione e della fame; settori come l’ambiente in generale e quindi il problema della conservazione delle diversità biologiche e il problema della sicurezza biologica che si sta ponendo. Io credo che a Marrakech non potranno più esserci disattenzioni rispetto ai grandi problemi che ci sono in questo momento. La questione climatica non è un paradigma: la questione climatica è la realtà quotidiana in cui vivono almeno i due terzi della popolazione mondiale.

D. – Nuovo è sicuramente l’impegno. C’è il rischio, però, che alla fine non si arrivi a un risultato concreto?

R. – Domenica scorsa, il Papa all’Angelus ha fatto riferimento alle coscienze come unica strada per poter percorrere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Non possiamo dire che la Conferenza appena aperta non avrà risultati positivi, ma certamente tutto dipenderà dal livello di coscienza, che i singoli Paesi partecipanti alla Conferenza dimostreranno. E a questa coscienza io credo che concorra in modo diretto l’apporto che ognuno di noi può dare, singolarmente, come forme di associazione e – come si dice – come opinione pubblica organizzata.

D. – Professore, a rischio – in sostanza – c’è il futuro dell’umanità …

R. – A rischio c’è il futuro dell’umanità, c’è il futuro del pianeta: non dimentichiamo che noi abbiamo questa grande responsabilità collettiva nei confronti del pianeta e del Creato. Non è semplicemente una responsabilità individuale, ma collettiva. Quindi significa tutte le situazioni in cui ci troviamo quotidianamente a operare.








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