2016-11-07 08:36:00

Gli Usa scelgono tra Hillary Clinton e Donald Trump


Stati Uniti. A poche ore dal voto di domani per la Casa Bianca L'Fbi chiude l'inchiesta sulle mail della democratica Hillary Clinton senza nessun capo d'accusa. "Ora tocca agli americani fare giustizia", rilancia il candidato repubblicano, Donald Trump. I sondaggi, intanto, danno ancora la Clinton avanti di 3 punti percentuali, ma nessuno raggiunge per ora la soglia dei 270 grandi elettori. Massimiliano Menichetti ha intervistato l’americanista Alia Katia Nardini, docente di relazioni internazionali allo Springhill College di Bologna:

R. – Capita sempre che un candidato non raggiunga la soglia dei 270 grandi elettori, prima del voto. Quello che accade questa volta è che la battaglia si è fatta particolarmente aspra in quelli che sono conosciuti come i “Battleground States”, quegli Stati quindi che possono o cambiare orientamento, a seconda delle elezioni, oppure riservare sorprese in base all’andamento elettorale di un particolare momento in cui si esprime la preferenza degli elettori. Quello che sicuramente è nuovo in queste elezioni è che un candidato come Trump non si pensava potesse arrivare così vicino a insidiare il primato di Hillary Clinton, che si è mantenuta saldamente in vantaggio per quasi tutta la corsa presidenziale. Quindi, diciamo che il successo di Trump è un elemento nuovo che sorprende, specie a così pochi giorni dal voto.

D. – Secondo alcuni osservatori c’è chi dice che queste elezioni evidenziano un po’ una criticità, un malessere della politica americana …

R. – Certamente: il malessere è il vero vincitore di queste elezioni ed è un malessere almeno duplice. Quindi, come il problema del Partito repubblicano di riassorbire una spaccatura interna molto evidente e molto profonda non soltanto tra tutti i candidati da un lato e Trump dall’altro, che è stato l’elemento di rottura, ma anche tra i candidati stessi: quindi, la presenza di queste varie correnti, quella libertarian, quella dei bi-parties, quella del conservatorismo tradizionalista, quella dell’establishment e quella atipica di Trump, all’interno di un partito che poi invece dovrà serrare i ranghi e andare avanti compatto. Poi, invece, un altro elemento che denota il malessere che prevale oggi negli Stati Uniti è quello della mancanza dell’élite di rispondere alle preoccupazioni dell’elettorato, quindi quanto entrambe le leadership di partito e tutto l’apparato di supporto dei due partiti – quindi sia lo schieramento repubblicano sia quello democratico – non siano in grado di cogliere le preoccupazioni reali della gente comune. La disaffezione della politica che si traduce in un supporto consistente per un candidato nuovo: Sanders nel caso dei democratici, e Trump nel caso dei repubblicani, che si muove completamente al di fuori delle logiche di partito che abbiamo visto finora.

D. – L’elettorato americano è condizionato dagli endorsement o dagli scandali interni: quanto incide sul voto, invece, la lettura che danno i Paesi esteri sui due candidati?

R. – Per nulla. Non c’è nulla sui giornali statunitensi né sui media che riporti una minima considerazione per quello che si dice nel resto del mondo, riguardo alle elezioni americane. Si è parlato chiaramente di sé e quanto la Russia, nella persona di Vladimir Putin, possa avere interessi riguardo a un possibile risultato che privilegi Trump; ma questo è diverso dal condannare un’ingerenza che ancora non si vede, se non per supposta campagna della parte di Clinton. Invece, riguardo all’Europa si è detto qualcosa sull’effetto Brexit, ma anche qui non si è parlato di conseguenze nei rapporti con la Gran Bretagna ma di quanto ci fosse stata una lettura errata nelle preferenze dei cittadini britannici per il voto del Brexit, e se si potesse verificare una simile confusione anche nel valutare le elezioni americane.

D. – Dunque, che America uscirà, al di là del vincitore?

R. – Sarà un’America spaccata, sarà un’America che – al di là delle previsioni funeste dei democratici – sarà sicuramente più portata a vedere il conflitto sociale in chiave violenta, il che non vuol dire che ci sarà necessariamente più violenza, ma vorrà dire che queste fratture che si sono manifestate tra l’élite e la gente comune, tra i partiti e i candidati dei partiti, rappresentanti di partiti, tra le lobby e i partiti stessi, potrebbero dare vita a contrasti sociali forti che sicuramente potrebbero rallentare il muoversi in avanti degli Stati Uniti, il recupero della crescita economica, l’occupazione, tutti i problemi nelle università, le differenze di razza e di genere … Quindi, tutti questi conflitti potrebbero acuirsi. A prescindere da chi sarà il candidato che vincerà: proprio per questo discorso del malessere che non è stato ancora considerato fino in fondo.








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