2016-11-05 12:41:00

Giubileo Carcerati. Don Balducchi: Papa apre la sua casa a tutti


Papa Francesco celebrerà questa domenica mattina nella Basilica di San Pietro una Messa per il Giubileo dei carcerati. Saranno presenti 4 mila persone tra detenuti, ex-detenuti, famigliari, operatori, cappellani e agenti della polizia penitenziaria, provenienti da 12 Paesi del mondo. Mille i detenuti che prenderanno parte alla celebrazione. Su questo importante evento che avviene mentre si sta chiudendo l’anno giubilare della Misericordia, Davide Dionisi ha intervistato don Virgilio Balducchi, ispettore generale dei cappellani delle carceri:

R. – Nelle carceri si sono preparati da molto tempo, perché la maggior parte – quasi tutti – hanno fatto l’apertura della Porta Santa all’interno delle carceri e il percorso di preparazione con riflessioni, con testimonianze e con preghiere. I detenuti che verranno all’incontro hanno già avuto un percorso abbastanza preparatorio per questo momento con il Papa. Naturalmente, l’attesa è molta, soprattutto per quello che ci dirà. I detenuti si aspettano un messaggio di alta speranza da una persona, da cui siamo abituati a sentire che ci vuole bene!

D. – Che significato assume un evento come questo, al termine dell’Anno Giubilare?

R. – Potremmo quasi dire che Dio non solo è andato a cercarli, ma se li è portati in casa: questo credo sia il messaggio più grande, sia dal punto di vista della vicinanza che viene offerta a queste persone – in generale a qualsiasi detenuto e anche a tutti gli altri che sono coinvolti, quindi anche alle vittime, agli operatori; e dall’altra parte sentire che la Chiesa è casa di tutti: Dio accoglie tutti! Questo credo che sia il gesto più grande perché ti accoglie a casa. Il Papa li accoglie a casa sua.

D. – Come annunciare Cristo in un contesto in cui la libertà umana, materiale e a volte anche psicologica viene meno?

R. – La prima cosa per annunciare è permettere che ciò che Dio fa nei cuori possa essere espresso, nel senso che non si tratta innanzitutto di fare da parte nostra un annuncio, anche se è giusto farlo; ma la prima cosa da fare è comprendere che questo annuncio è già nei cuori; è già nella ricerca di felicità di queste persone, è dentro le loro invocazioni rispetto alla loro sofferenza, è nelle loro fatiche e nelle loro gioie. Allora, da questo punto di vista è un annuncio che deve partire da ciò che Dio sta già facendo, accogliendo ciò che Dio sta facendo in queste persone. Molte richieste di riaccompagnamento alla propria fede avvengono perché un’altra persona detenuta che ha fatto questo cammino dice al proprio compagno di cella: “Se vuoi, puoi provare anche tu, a farlo”. Da parte nostra si tratta innanzitutto di riaccompagnare la richiesta di Dio.

D. – Parliamo delle donne in carcere: spesso vivono un doppio dramma; quello della detenzione e quello dell’essere mamme non in grado di svolgere il proprio ruolo. In che modo deve cambiare il sistema, per venire incontro alle esigenze, per alleviare le sofferenze delle ospiti?

R. – Sicuramente, per quelle che hanno i figli fuori, riuscire a permettere una maggiore capacità di incontro, il meno traumatico possibile, all’interno delle strutture del carcere. Certamente è sempre un trauma. Naturalmente, poi, quando il bambino finisce di avere la sua mamma con sè e deve uscire, questo diventa molto difficile. L’altra cosa che dovrebbe aumentare ancora è fare in modo che le mamme che hanno i bambini piccoli non stiano più in carcere, come la legge prevede. E questo è possibile: in questi quattro-cinque anni, con un progetto con la Caritas, con Migrantes e l’Ispettorato abbiamo portato fuori 25 donne con bambini in comunità, in luoghi di normalità: questo, naturalmente, permette loro di vivere più serenamente la propria maternità. Tre o quattro di queste donne sono uscite che erano incinta, quindi hanno potuto avere il loro figlio in libertà … Quindi, aumentare la possibilità che questi luoghi possano accogliere le donne con bambini al di sotto dei sei anni sarebbe la cosa migliore.








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