2016-10-07 12:32:00

Centrafrica, nuove violenze: la testimonianza di un missionario


Undici persone sono morte e quattordici sono rimaste  ferite a Bangui, capitale della Repubblica Centrafricana, pochi giorni dopo l’omicidio del comandante delle Forze armate. Il Paese continua a vivere una difficile situazione politica: anni di guerra civile tra le milizie Seleka e quelle anti-balaka hanno lasciato il segno. Il nuovo governo, nato dalle elezioni svoltesi tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016, non esercita un controllo stabile sul territorio e continuano a sussistere focolai di violenza. Andrea Walton ha chiesto della situazione attuale a padre Aurelio Gazzera, missionario carmelitano da anni presente sul territorio:

R. – Ci sono stati alcuni avvenimenti in questi ultimi giorni, come l’uccisione di un comandante dell’esercito, al chilometro cinque, che ha un po’ scombussolato le cose. Io sono attualmente a Banguì e sono arrivato proprio quel martedì, giorno in cui è stato ucciso. Avevano ripreso un po’ gli spari, i colpi, e ci sono stati anche degli attacchi di rappresaglia contro alcuni musulmani, alcuni “Peuls”, che sono allevatori. Quindi, diciamo che la situazione è ancora molto fragile, e questo fenomeno denuncia ancora una volta la fragilità del governo, che non riesce a far fronte a queste bande di criminali. Questa persona era – appunto – un comandante dell’esercito. Per adesso non ci sono state reazioni, nessuno è stato arrestato. E c’è anche la debolezza della Minusca – i Caschi Blu – che non riescono a prevenire, disarmare, avere un piano di azione serio che possa permettere un cambiamento.

D. – Cosa si può fare per risolvere la difficile situazione politica del Paese?

R. – Bisognerebbe che tutti si prendessero le loro responsabilità. Diciamo che rispetto a tempi più lontani, come l’anno scorso, l’elemento almeno positivo è che sembra che questo fatto sia limitato alla giornata di martedì, e non ci siano stati grossi scontri altrove nei giorni seguenti. Quindi, diciamo che questo è un elemento abbastanza positivo. Però non basta affidarsi al fatto che non ci siano state troppe rappresaglie, ma bisogna proprio che il governo si assuma le sue responsabilità, si dia da fare, e che la Minusca – i Caschi Blu – inizino a fare il lavoro per cui sono stati chiamati e per cui sono profumatamente pagati.

D. – Che ruolo può avere la comunità internazionale?

R. – La comunità internazionale continua a fare molto, però penso che a questo punto bisognerebbe che la comunità internazionale fosse più decisa nell’esigere, sia dal governo che dai Caschi Blu, che sono pagati dalla comunità internazionale, delle azioni più incisive: non possono limitarsi a fare dei comunicati, a condannare ecc., per poi lasciare che un ufficiale sia ucciso praticamente sotto i loro occhi, dove ci sono blindati, macchine della Nazioni Unite e altri militari dell’esercito centrafricano.

D. – Quali sono le prospettive future?

R. – Diciamo che non ci sono molte prospettive. Adesso c’è in ballo la grande riunione di discussione per i “bailluers de fonds” – quelli che dovrebbero finanziare la ricostruzione – ma bisognerà vedere un pochino qual è la credibilità del governo, che si presenta a questa riunione, e anche della Minusca. Quindi bisogna vedere quanti fondi riusciranno ad ottenere. Ma siamo sempre più convinti che sia questione di meno fondi, ma soprattutto di una maggiore assunzione di responsabilità da parte di tutti. E quindi sarebbe bene che la comunità internazionale facesse pressione in questo senso: che esigesse dei fatti concreti da parte di tutti gli attori sul posto. 








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