Di fronte all’escalation della violenza in Kashmir, dove da settimane si combatte una guerriglia dilaniante tra separatisti ed esercito federale, i vescovi indiani sollevano la voce e chiedono di pregare per India e Pakistan. Il card. Oswald Gracias, presidente della Conferenza dei vescovi di rito latino (Ccbi), ha inviato all'agenzia AsiaNews un appello in cui afferma: “Oggi, nel giorno in cui ricorre la festa di san Francesco di Assisi, preghiamo per la pace. Faccio appello affinchè si instauri il dialogo e la cooperazione tra i due governi”.
Continua il coprifuoco
Oggi è l’88mo giorno di coprifuoco nello Stato indiano del Jammu e Kashmir. Il confronto
tra separatisti e governo si è inasprito a luglio, quando le forze di sicurezza hanno
ucciso Burhan Wani, tra i militanti più famosi per le sue imprese riportare sui social
network. Da quel momento la vita nello Stato è paralizzata: la popolazione vive sotto
stretta sorveglianza, scuole, università e negozi sono chiusi. Alcuni bambini frequentano
le lezioni solo grazie all’opera di volontari che hanno aperto le porte delle proprie
abitazioni e delle moschee per garantire una continuità nell’insegnamento. Le autorità
hanno anche vietato la celebrazione delle feste religiose per impedire assembramenti.
Il conflitto si inasprisce
Piuttosto che disinnescarsi, nonostante i numerosi appelli al dialogo, nelle ultime
settimane lo scontro è precipitato. Il 18 settembre un commando di militanti ha fatto
irruzione nella base militare indiana a Uri e ha ucciso 18 soldati, prima di essere
“neutralizzato”. Alle azioni dei separatisti il governo indiano ha risposto con durezza.
Da una parte ha lanciato una campagna di “attacchi chirurgici” contro le basi dei
militanti sparse lungo il confine con il Pakistan. Dall’altra sta utilizzando la diplomazia
per isolare Islamabad: ha boicottato il summit Saarc per la cooperazione tra i Paesi
dell’Asia del Sud e ha accusato il Pakistan di sponsorizzare il terrorismo internazionale.
La popolazione è sotto shock
L’asprezza della reazione indiana non ha però frenato le violenze. Nella notte del
2 ottobre i militanti hanno fatto irruzione in un’altra base indiana, quella di Baramulla,
e hanno usato i civili come scudi umani. Il bilancio di questa ondata di violenze,
in un territorio conteso tra i due Paesi fin dal 1947, è drammatico: più di 90 vittime
e oltre 12mila feriti. Le ultime notizie riportano che la popolazione è sotto shock;
inoltre il governo statale ha chiesto a coloro che abitano entro un raggio di 10 chilometri
dalla frontiera di evacuare.
La Chiesa fa sentire la sua voce
Di fronte alla concreta possibilità che la situazione sfoci in una nuova guerra, la
Chiesa cattolica ha deciso di far sentire la propria voce. Ad AsiaNews mons. Kuriakose
Bharanikulangara, arcivescovo di Faridabad, ha inviato una nota nella quale “condanna
con fermezza l’uccisione dei soldati indiani. Ora sono dei martiri”. Il prelato è
preoccupato per la piega che ha assunto la contesa e afferma: “È arrivato il momento
in cui ragione e buon senso devono prevalere su emozione e rappresaglia. Il padre
dell’India, il Mahatma Gandhi, ha detto che la politica ‘dell’occhio per occhio’ renderà
ciechi. Ogni azione immediata contro il Pakistan inasprirà il conflitto. Ed è esattamente
ciò che vogliono i terroristi”.
India e Pakistan sono dotati di armi nucleari
Secondo mons. Bharanikulangara, ogni “attacco deciso alla leggera può portare ad una
guerra, con conseguenze disastrose per il Paese”, soprattutto perchè sia India che
Pakistan sono dotati di armi nucleari. Mentre sottolinea la necessità di “rafforzare
la strada del dialogo e della diplomazia”, afferma anche che “è importante fortificare
le frontiere e impedire ai terroristi di infiltrarsi in India”. “Il Pakistan – conclude
– deve essere messo alla sbarra e isolato dal punto di vista internazionale per la
sua sponsorizzazione del terrorismo”. (S.D.)
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