2016-09-19 15:57:00

Bombe Usa, ricercato afghano. De Blasio: pericoloso e armato


Allerta altissima a New York, blindata per l’inizio dell’assemblea generale dell’Onu alla presenza dei principali leader mondiali e ancora sotto choc per l’esplosione sabato a Chelsea che ha ferito 29 persone. Oggi altri ordigni sono stati rivenuti in New Jersey. Francesca Sabatinelli:

E’ a Midtown che si concentra soprattutto la sorveglianza, laddove soggiornerà la maggior parte dei capi di Stato e di governo in arrivo a New York. Le importanti misure di sicurezza adottate in questi casi, sono state intensificate per il timore di quella che viene già definita “cellula attiva”. Per le bombe di Chelsea, una delle quali esplodendo ha ferito 29 persone, è ricercato un 28enne afghano Ahmad Khan Rahami, “armato e pericoloso” avrebbe detto il sindaco di New York, Bill de Blasio. Non si chiarisce se ci sia sempre lui dietro alle bombe del New Jersey ritrovate in un cestino dell’immondizia, ordigni rudimentali contenuti in tubi di metallo, collegati tra loro che non sono però esplosi, e poi dietro a quella di stamattina, vicino alla stazione di Elizabeth, sempre nel New Jersey, bomba esplosa mentre un robot della polizia cercava di disinnescarla. Una cellula attiva, dunque, composta da più persone in azione nell’area di New York e New Jersey, riferisce la polizia. Cinque gli arresti finora, residenti di Elizabeth e nella cui auto sarebbero state rinvenute alcune armi. Per le bombe di Chelsea sarebbe stato utilizzato un potente esplosivo, vecchi cellulari come detonatori e fili elettrici delle luci di Natale, vicino agli ordigni sarebbe anche stato rinvenuto un biglietto scritto parzialmente in arabo. Ascoltiamo il generale Leonardo Tricarico, ex capo di Stato maggiore dell’aeronautica, presidente della Fondazione Icsa, Intelligence Culture and Strategic Analysis:

R. – C’è da dire che nel 2005, un certo Abu Musab al-Suri dettò una nuova dottrina di comportamento e di interpretazione del terrorismo, che è passata un po’ inosservata. Però adesso ne stiamo vedendo le conseguenze. Al-Suri disse che non doveva esserci un’ organizzazione del terrorismo e che ognuno doveva agire per proprio conto,  che ognuno avrebbe dovuto avere un’idea da mettere poi in pratica. E questo ha causato – come vede adesso siamo a più di 10 anni – una polverizzazione delle attività degli interpreti di questo terrorismo nelle forme più disparate, perché poi naturalmente è stato aggiunto “Fate tutto quello che potete! Investite, usate qualsiasi tipo di armamento…”. Quindi questa è la conseguenza. Non dobbiamo ragionare più in termini di al-Qaeda, di una organizzazione con un capo: adesso, purtroppo, dobbiamo misurarci con dei soggetti singoli, ognuno dei quali interpreta a modo suo il dovere di compiere un attentato. Credo che ci troviamo in questa fattispecie, che non ci deve più stupire, ma che deve – in qualche modo – farci abituare a convivere con queste possibilità, che da un momento all’altro, in qualsiasi angolo del mondo, si possano compiere attentati di qualunque tipo.

D. – Quindi diciamo che – mi passi il termine – dal modello “attacco 11 settembre 2001” siamo passati al modello “lupi solitari”, come quelli che abbiamo visto colpire in Europa…

R. – Eh sì! E’ proprio così! E’ una verità parziale, questa, ma lo è comunque. Ogni contesto naturalmente trova delle espressioni diverse. Per cui in Francia e in Belgio abbiamo assistito a delle organizzazioni militari e quindi alla perpetrazione di attentati che avevano una loro strutturazione, con più persone, con una preparazione, con una organizzazione, e questo perché? Perché le periferie erano più infestate e più strutturate e lo sono tutt’ora. La periferia sociale americana, evidentemente, può non comportare una organizzazione e un attentato di tipo militare, ma una espressione singola come quella di questi giorni e come quella di qualche anno fa e la Maratona di Boston – per esempio - è un caso molto simile.

D. – Questa strategia, questo attacco alla ‘lupo solitario’ rende estremamente più difficile una sorta di autodifesa…

R. – E’ molto più difficile, certamente. Noi (in Italia ndr) siamo fortunati – fra virgolette, fra molte virgolette – sia perché la nostra organizzazione è molto efficiente, sia per le dimensioni del fenomeno che sono molto più contenute. Diverso è negli Stati Uniti, diverso è in Francia, diverso è in altri Paesi che, purtroppo, non hanno – virgolette ancora – la fortuna che abbiamo noi. Perché noi ne abbiamo cento e loro ne hanno mille da seguire! E non si possono seguire tutti e mille… Le dimensioni delle periferie infestate in Francia sicuramente non consentono alle forze investigative di tenere tutto sotto controllo, perché è chiaro che è un controllo che va fatto sulla persona e non sull’area o sull’organizzazione. Parlavamo di lupi solitari, che – appunto – uno per uno vanno tutti presi in cura e seguiti singolarmente. Naturalmente le dimensioni del fenomeno potrebbero non consentire l’utilizzo di queste metodologie in altri Paesi. Qui ancora lo consentono.

D. – Tutto questo riporta al fatto che queste persone, questi individui così difficili da controllare, ma con un bagaglio evidentemente di frustrazione e di repressione sociale, fanno poi riferimento a quella che è la parola di al-Baghdadi o del cosiddetto Stato Islamico. Alla fine a quello torniamo…

R. – Sempre lì torniamo! Torniamo soprattutto ai metodi di divulgazione dell’odio, degli ordini, delle direttive e delle strategie, che purtroppo oggi sono molto semplici, molto efficaci, sono tutti connessi e tutto viaggia via Internet. Noi ci ostiniamo a garantire a tutti un accesso e una libertà di movimento senza limiti e queste sono purtroppo le conseguenze. Bisognerà cominciare a fare dei pensieri un po’ più seri sulla sicurezza collettiva, per la quale bisognerà sacrificare qualche libertà. Comunque bisognerà aprire un dossier su questo, possibilmente non a ridosso dello scoppio delle bombe, salvo poi dopo 2-3 giorni dimenticarsene. 








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