2016-09-14 12:43:00

Tregua in Siria. P. Ibrahim: si sopravvive grazie a benefattori


Fragile tregua in Siria dopo l’accordo tra Russia e Stati Uniti. Dall’inizio del cessate il fuoco, lunedì sera, c'è stata una significativa riduzione della violenza, ha detto l'inviato speciale dell'Onu Staffan de Mistura. Ma ora si attende l’arrivo dei convogli umanitari ad una popolazione stremata da oltre 5 anni di guerra. Ascoltiamo, al microfono di Emanuela Campanile, la testimonianza del padre francescano Ibrahim al Sabbagh, parroco nella zona ovest di Aleppo, controllata dai governativi:

R. – Quello che noi facciamo è comprare cibo, medicine e distribuirli continuamente alla gente.

D. – Da chi arrivano questi pacchi?

R. – Li compriamo noi, con l’aiuto dei benefattori: non aspettiamo gli aiuti umanitari che arrivano o meno, perché non si riesce con questi aiuti a organizzare un aiuto mensile costante e fisso. La gente ha bisogno di un aiuto continuo e quindi dipendiamo più da quello che i nostri benefattori ci mandano in denaro e con questi soldi noi compriamo.

D. – Uno de problemi più gravi che voi patite è la mancanza di acqua …

R. – Sì, la mancanza di acqua, ma ultimamente la situazione è un po’ migliorata, nonostante continui a essere non potabile, con tanti batteri e con tanti problemi che causano anche malattie alle persone. Ma la nostra prima piaga, la nostra prima sfida è quella dei missili che cadono sulla testa della gente, sulle abitazioni e sulle strade ed è per questo che la gente, purtroppo, non ce la fa più. Tanti, anche nelle nostre famiglie, continuano a decidere di lasciare la città per emigrare, anche fuori dal Paese. La seconda piaga è quella della situazione generale della città: non avere lavoro significa che le famiglie non hanno entrate fisse, mensili, e questo significa che continua ad aumentare il numero delle famiglie povere e bisognose di tutto. E questo spinge poi alla depressione, a diversi problemi a livello psicologico e spinge la gente a disperarsi …

D. – Quanto dura la sua giornata di lavoro nel soccorrere i suoi parrocchiani e, ovviamente, la gente del luogo in generale?

R. – Inizia generalmente alle 8 del mattino fino alle 11 di notte, a volte: c’è l’accoglienza, il tentativo di risolvere i problemi, l’incontro con la gente, le visite … ma poi, c’è un altro lavoro, anche arduo, da continuare durante la notte ed è quello di rispondere ai messaggi, alle lettere degli amici, dei benefattori. E’ una giornata molto lunga, molto faticosa, la nostra: sono mesi e mesi in cui non abbiamo neanche una mezza giornata libera. C’è il servizio spirituale, pastorale che già di per sé è molto impegnativo, ma poi c’è anche il soccorso umanitario che noi abbiamo adottato come modo di essere con la gente. Oggi non possiamo mollare …

D. – In quanti l’aiutano in questa opera di soccorso alle famiglie?

R. – Qui ad Aleppo noi siamo cinque frati Francescani che aiutano nella parrocchia; però, abbiamo sempre i consacrati intorno a noi, dei Gesuiti, dei Salesiani … Abbiamo diverse congregazioni di suore che cercano anche di aiutare, nonostante il punto centrale sia sempre la parrocchia. Abbiamo centinaia e centinaia di famiglie di rito latino, ma noi tutti cristiani qui, nella parte ovest di Aleppo, siamo circa 40 mila persone. Bisogna dire che tanti di loro, tante persone sono anziane, abbandonate, da sole; ci sono tante vedove e tanti bambini piccoli senza padre o senza madre … E in qualsiasi momento può cadere un missile e allora bisogna intervenire subito, visitare, pregare con la gente per essere sempre accanto a quelli che soffrono …

D. – Ci sono solo cristiani nell’area nella quale si trova lei, con la sua parrocchia, oppure avete anche presenze di musulmani, di persone di altre religioni?

R. – In questa parte ovest della città, dove viviamo sotto il controllo dell’esercito regolare, viviamo sempre come prima della crisi: in tutte le zone, praticamente, c’era la presenza di tutti i riti e di tutte le religioni. Abbiamo vissuto così da sempre e noi, in questa parte ovest, oggi, continuiamo a vivere così. C’è grande rispetto e c’è grande collaborazione e noi cerchiamo sempre di tendere la mano per quanto riguarda gli aiuti umanitari: perché è Nostro Signore Gesù che ci spinge sempre con l’unico comandamento della carità, anche pensando di aiutare gli altri, cioè i musulmani. Noi continuiamo a dare la vita come abbiamo sentito e come abbiamo visto farlo dal nostro modello, Gesù Cristo: continuiamo ad amare fino a dare la vita per i fratelli.








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