Comprendere il fenomeno della persecuzione anticristiana nel mondo, dipingendo un quadro generale. E’ l’intento di “Perseguiteranno anche voi”, il libro di Marta Petrosillo, portavoce di Aiuto alla Chiesa che Soffre in Italia. Il testo, edito da La Nuova Bussola Quotidiana, è stato presentato stamane a Roma e si propone di portare all’attenzione il dramma della persecuzione e discriminazione di milioni di cristiani nel mondo, ancora oggi, all'inizio del Terzo Millennio. A pesare è senz’altro l’identificazione impropria fra cristiani e potenze occidentali, ma non solo. Ce ne parla la stessa Marta Petrosillo, nell’intervista di Debora Donnini:
R. – Senza dubbio l’identificazione dei cristiani con l’Occidente in molti Paesi a maggioranza islamica, dove tra l’altro vi sono state recentemente anche guerre da parte di potenze occidentali, che sono viste molto spesso dalle società locali come delle vere e proprie invasioni, è un fattore fondamentale. Ma non vi è soltanto questo perché i cristiani sono minoranza e in molti Paesi. Paradossalmente, poi, i valori cristiani rendono i cristiani maggiormente vulnerabili. Una volta un ragazzo di Baghdad mi ha detto: “Loro sanno precisamente che noi non ci vendicheremo mai e quindi questa nostra disponibilità al perdono ci rende ovviamente più vulnerabili”…
D. – Molte volte Papa Francesco ha parlato della persecuzione dei cristiani, del loro martirio – ha detto – “solo perché cristiani”, sottolineando il silenzio complice di tante potenze. Centrale, invece, costruire società in cui ci sia un sano pluralismo, rispettando gli altri e i loro valori. Quanto pesa l’atteggiamento di alcuni poteri forti del mondo nel far passare sotto silenzio questa persecuzione?
R. – Pesa molto. Il primo passo da compiere per arrestare la persecuzione cristiana, che assume oggi anche nuove forme, è la consapevolezza, perché solamente conoscendo la realtà, poi si può passare ad intraprendere azioni che ovviamente devono essere intraprese dai nostri governi. Alcuni passi in avanti sono stati fatti negli ultimi anni.
D. – Quanto è importante il dialogo interreligioso, non identificare l’Islam con il terrorismo e i gesti di incontro fra i rappresentanti delle religioni promossi da Francesco?
R. – Fondamentali le ripercussioni che le parole del Santo Padre hanno nei Paesi in cui i cristiani vengono perseguitati. Mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, mi raccontava come il discorso fatto da Papa Francesco, in cui ha esortato a non identificare il terrorismo con l’Islam, sia stato molto apprezzato dalla comunità islamica locale. Molti leader islamici hanno voluto incontrare l’arcivescovo esprimendo la loro riconoscenza e chiedendogli di portare il loro messaggio direttamente a Francesco. Quindi, le parole del Santo Padre sono dei mattoni fondamentali anche nei Paesi dove i cristiani sono perseguitati, per favorire il dialogo interreligioso e fare in modo che sia la comunità islamica stessa locale – che, ricordiamo, non è da identificare con il terrorismo - a stringersi alla comunità cristiana e a mostrare solidarietà.
D. – Per esempio, in Pakistan persone di fede musulmana per difendere i cristiani sono stati uccisi…
R. – Non mancano esempi di musulmani che, anche a costo della vita, hanno difeso i cristiani. Un esempio per tutti, quello di Salman Taseer, il governatore del Punjab, ucciso nel 2011 a causa del suo impegno per la liberazione di Asia Bibi...
D. – Nel libro lei dedica un capitolo specifico alle donne cristiane nei Paesi a maggioranza islamica, vittime spesso di stupri, rapimenti da parte di estremisti. L’ha colpita molto la situazione delle donne, doppiamente discriminate appunto in quanto donne?
R. – Sì, mi ha colpito molto, perché si ha proprio un panorama di queste donne che sono doppiamente vulnerabili: vulnerabili perché donne e vulnerabili perché minoranza. Vi è il tema degli stupri, delle conversioni forzate, ma anche dell’imposizione dell’abbigliamento islamico per le donne cristiane. Penso ad esempio al Sudan, dove delle donne cristiane sono state frustate solamente perché indossavano una gonna ritenuta troppo corta, anche se non erano tenute a sottostare al codice di abbigliamento islamico.
D. – Nel suo libro vengono descritte violenze agghiaccianti, perpetrate però non solo dal sedicente Stato Islamico - che, tra l’altro, perseguita non solo i cristiani, ma anche le altre minoranze religiose - ma anche da parte di altri estremismi, come quello indù in alcune zone dell’India o da regimi totalitari, come in Corea del Nord, da dove filtrano pochissime notizie e però si pensa che almeno 10 mila fedeli siano in campi di prigionia trattati in modo feroce. Cosa ci può dire in proposito?
R. – Sì, vi sono altri fondamentalismi, ma vi è un altro tipo di persecuzione dei regimi autoritari. Un esempio per tutti è ovviamente la Corea del Nord laddove si può essere uccisi, come è successo ad una donna nel 2009, semplicemente per il possesso di una Bibbia.
Alla conferenza di presentazione del libro di Marta Petrosillo, è intervenuto anche mons. Joseph Coutts, arcivescovo di Karachi, in Pakistan, che ha ricordato le persecuzioni messe in atto in base alla legge sulla blasfemia. Uno dei casi più tristemente noti è quello di Asia Bibi, la donna tutt’ora in carcere dal 2009. Sono state accolte, intanto, con molta gratitudine da diversi rappresentanti della religione musulmana, le parole del Papa che ha sottolineato come non si possa identificare l’Islam con il terrorismo, come conferma lo stesso mons. Coutts, al microfono di Debora Donnini:
“Sono stati molto felici e grati per le parole del Papa, in quanto leader dei cristiani a livello mondiale. Il Papa ha detto che l’Islam come religione non è una religione di terrorismo. Loro hanno detto che è molto importante quando un leader a questo livello dice queste cose. È un passo in avanti verso il dialogo e per creare la pace”.
A colpire anche la testimonianza di padre Rebwar Basa, iracheno, della diocesi di Erbil, che si sofferma sulla situazione dei cristiani a Mosul, dal 2004:
“Soprattutto per quanto riguarda la città di Mosul, questo capoluogo dell’antica città di Ninive, ci sono stati una serie di attentati, di rapimenti… Possiamo dire una persecuzione sistematica. Hanno cominciato a piccole tappe, fino all’arrivo ufficiale del sedicente Stato islamico quando hanno detto ufficialmente ai cristiani e alle altre minoranze di lasciare tutto o di convertirsi all’Islam. Quindi era una cosa ben pianificata. Basti pensare, ad esempio al vescovo di Mosul, mons. Paulos Faraj Rahho, ucciso nel 2008. Lui aveva ricevuto più di dieci lettere minatorie. Hanno ucciso i suoi sacerdoti, rapito dei fedeli, distrutto delle chiese. Lui diceva: 'Sarò l’ultimo a lasciare la mia città'. Già sentivano di non essere più ben voluti nella loro città di origine”.
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