2016-09-10 16:30:00

Carestia in Sud Sudan, mons. Biguzzi: servono aiuti internazionali


Il Sud Sudan è colpito da una drammatica carestia. Lo denuncia la Fao. Sarebbero almeno 5 milioni le persone che sono alla fame. La crisi politica, che si è acuita nel luglio scorso, lascia in una condizione di forte instabilità e di violenza l’intero Paese. Per la popolazione è difficile far fronte alla carenza di cibo a causa dell’arresto della produzione agricola e dell’elevato tasso di inflazione. A questo si aggiunge una difficoltà nel far arrivare gli aiuti dai Paesi vicini, data l'insicurezza delle strade. Maria Carnevali ha intervistato mons. Giorgio Biguzzi, vescovo emerito di Makeni, in Sierra Leone, che ha visitato recentemente il Sud Sudan:

R. - È una situazione dolorosissima e molto complessa, ha radici lontane: va dall’esperienza di guerra, di guerriglia per l’indipendenza, all’intreccio di interessi internazionali e di lotte tribali per il potere locale. Tutto questo a spese della popolazione civile. Ho visto nei villaggi anche lontani gente che cerca soprattutto di sopravvivere difendendosi o fuggendo dalle bande armate che sono aizzate da un gruppo o dall’altro con radici legate ad interessi politici ed economici degli altri Paesi, di quelli vicini e di quelli lontani. Il Sud Sudan è un Paese ricco di petrolio, di acqua e di tante altre ricchezze e come dice la Bibbia: “Dove sono i cadaveri, lì si radunano le aquile”.

D. - La produzione agricola è paralizzata dalla situazione politica instabile. Dall’inizio della  guerra civile nel 2013 la situazione è peggiorata?

R. - È peggiorata tantissimo. Trai il 2014 e il 2015 si era stabilizzata e quindi la gente aveva ripreso a coltivare la terra. L’attività principale è legata al bestiame, poi la coltivazione del sorgo. Purtroppo con l’accordo siglato, ma non mantenuto per un governo di coalizione nazionale, è riscoppiata la guerra. Le vittime sono state migliaia e molta gente quindi ha dovuto smettere di coltivare anche perché coltivano, poi magari arriva un gruppo di guerriglieri e porta via, saccheggia … Quindi non c’è più la voglia di tentare, perché il futuro è incerto. Di conseguenza cercano scampo nei campi che dovrebbero essere protetti dai soldati dall’Onu oppure vanno all’estero con sofferenze inimmaginabili che, per chi non le ha viste o toccate con mano, rompono veramente l’anima e il cuore. Vedere tanta gente innocente soffrire così tanto … Però c’è da dire che le Chiese cristiane, tutte insieme, hanno sempre e in unità alzato la voce per chiedere pace, giustizia, rispetto della gente. Questo lo hanno sempre fatto con grande coraggio. Le Chiese sono diventate un po’ un punto di riferimento per tanti che fuggono e trovano qualche oasi di pace, di sicurezza nelle chiese.

D. - Anche gli aiuti fanno difficoltà ad arrivare a causa dell’insicurezza sulle strade. Come poter pianificare un sistema di aiuti per la popolazione?

R. - Questo è proprio un rebus, perché questa nazione non ha sbocco o accesso al mare. Praticamente l’unica strada asfaltata che dalla capitale va verso l’Uganda è naturalmente anche quella insicura. I rifornimenti arrivavano attraverso il fiume o venivano fatti tramite piccoli aerei. Ma qui adesso è pericolosissimo. Quindi anche far arrivare gli aiuti è un problema da risolvere.

D. - Ad aggravare la situazione è sicuramente l’alto tasso dell’inflazione che è arrivato ormai all’800% …

R. - L’economia del Sud Sudan è basata, direi quasi esclusivamente, sul petrolio, però quando è scoppiata la guerra c’è stato un calo drammatico nelle esportazioni e quindi c’è stato un crollo delle finanze dello Stato che ha portato a questa svalutazione enorme. Anche a livello internazionale non si sa come intervenire e soprattutto non si vuole intervenire in maniera energica perché ognuno ha da tutelare i propri interessi politici ed economici.

D. - Che cosa si dovrebbe fare concretamente per ripristinare la stabilità politica e di conseguenza anche quella sociale?

R. - Sostenere tutte le forze interne, attive come sono le Chiese cristiane con i loro leader, perché è dall’interno che deve arrivare la spinta per una risoluzione del conflitto, sostenere anche quei timidi gesti da parte dell’Onu e spingere sui suoi rappresentanti perché anche grandi potenze utilizzino il loro potere a beneficio della gente.








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