2016-08-28 09:00:00

Ordinato primo sacerdote in Mongolia. Cervellera: cattolici in crescita


La Chiesa in Mongolia, la più giovane comunità cattolica del Mondo, festeggia l’ordinazione del suo primo sacerdote locale. Nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo, nella capitale Ulaanbatar, infatti, è stato ordinato oggi il giovane Jospeh Enkeeh-Baatar, che svolgerà il suo ministero nella piccolissima comunità cattolica di Arvaiheer, composta da appena 21 persone. Un evento storico, che conferma la crescita della Chiesa in questi ultimi anni nel continente asiatico. Salvatore Tropea ha intervistato al riguardo padre Bernardo Cervellera, direttore di "Asia News".

R. – È un momento importante, perché è il primo sacerdote in una comunità che è nata proprio dalle ceneri, che non esisteva praticamente. I primi missionari hanno cominciato ad instaurare con queste piccole comunità dei rapporti di amicizia e il fatto che adesso abbiano già un sacerdote è veramente un dono molto grande per questa Chiesa. Questo vuole dire che i semi che sono stati gettati dai missionari sono fecondi. Lavorare in Mongolia significa confrontarsi, da una parte, con una cultura di religiosità sciamanica – quindi vedono i sacerdoti come un punto di incontro tra il Cielo e la terra, tra Dio e l’uomo - nello stesso tempo, c’è una tradizione buddista, tibetana, molto forte. Di conseguenza, il fatto che ci sia un sacerdote mongolo, che è parte di questa cultura, e che, nello stesso tempo, ha ricevuto l’annuncio di Gesù Cristo, può veramente fare quel lavoro di inculturazione, sia dal punto di vista della cultura sia da quello della teologia, che – naturalmente – è un po’ più difficile e lento per un missionario straniero.

D. – La Chiesa in Mongolia com’è cresciuta in questi anni, non solo numericamente, ma anche e soprattutto in termini di apostolato ed evangelizzazione?

R. – È cresciuta veramente molto lentamente e pazientemente, con rapporti di amicizia, e anche offrendo ai bambini la possibilità di avere un asilo o una specie di oratorio in cui giocare e studiare. Poi ha dato un aiuto anche alle donne, perché c’è una grande miseria: quindi ha cercato di dare lavoro alle donne e agli uomini. La Chiesa può operare in Mongolia perché, per legge, gli operatori stranieri devono assumere un certo numero di lavoratori locali. Questa è una strettoia in cui la Chiesa si trova; però, di fatto, è un modo con cui quest’ultima aiuta anche lo sviluppo economico del Paese. La Mongolia, dopo la caduta dell’Impero sovietico, garantisce la libertà religiosa. Tuttavia, nei confronti delle religioni, e soprattutto di quelle straniere, sono un po’ cauti e hanno paura del proselitismo. Per questo quindi sono molto attenti, rilasciano permessi con difficoltà, vogliono verificare, mettono condizioni, ecc. Però, pur con molta pazienza, la Chiesa sta crescendo.

D. – Questo storico evento è il segnale di una Chiesa che, in Mongolia, ma in Asia in generale, potrà crescere ancora molto in futuro?

R. – Il fatto che in Mongolia sia nata già la prima vocazione sacerdotale dice che anche in Mongolia, ma in generale in tutta l’Asia, c’è una grande sete di Dio, una grande ricerca del contatto con il divino e la religione. Perché questi popoli, ad esempio questi che erano sotto il comunismo, erano abituati al materialismo; e invece, la fede – la religione – sta rinascendo. Bisogna poi ricordare anche che il sacerdote è stato educato in Corea del Sud; e la Chiesa coreana è molto impegnata in un rapporto di fraternità con quella mongola per sostenerla ed aiutarla. Quindi la Chiesa coreana, che è tra le più vivaci dell’Asia e aiuta la piccola Chiesa mongola, dice che in Asia l’evangelizzazione ha delle ottime prospettive.








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