2016-08-27 11:30:00

Presidenziali in Gabon: è sfida tra Ali Bongo e Jean Ping


Elezioni presidenziali oggi in Gabon, Paese situato nel cuore dell'Africa centrale, quarto produttore di petrolio dell’Africa sub-sahariana e 37.mo produttore mondiale. L’attuale presidente, Ali Bongo, candidato per un secondo mandato ed erede di una dinastia che detiene il potere da oltre 40 anni, vede come avversario e candidato unico dell'opposizione, il suo ex ministro degli Esteri ed ex presidente della Commissione dell'Unione Africana, Jean Ping, 74 anni, di origini cinesi. L’opposizione denuncia la difficoltà anche solo di mettere in piedi una campagna elettorale, ma  soprattutto una condizione del Paese disastrosa: povertà dilagante e disoccupazione alle stelle. In questo contesto, che scenario può aprirsi per il Paese? Paola Simonetti lo ha chiesto ad Anna Bono, docente di Storia africana all’Università di Torino:

R. – È uno scenario delicato, perché nel Paese c’è un’opposizione abbastanza consistente che negli ultimi anni, e soprattutto negli ultimi mesi, si è coalizzata attorno ad un candidato importante, un personaggio politico di levatura internazionale. Il problema è il modo in cui il Paese si sta avviando al voto: sono state già individuate delle notevoli discrepanze negli aventi diritti al voto registrati. In un paesino, per esempio, dove, stando all’ultimo censimento, gli aventi diritto dovrebbero essere 43, quelli registrati sono 946: questo dà un’idea di come si è mossa finora la commissione elettorale. Questi e altri problemi sono stati denunciati e prefigurano quello che è spesso il destino delle elezioni in Africa: ossia brogli vistosi, senza ritegno, soprattutto da parte di chi detiene il potere e ha in mano molte reti e mezzi per manipolare il voto prima, durante e dopo la giornata elettorale.

D. – L’opposizione, peraltro, segnala come la popolazione sia vistosamente stanca della dinastia Bongo; però – ovviamente – in una condizione come quella che lei descrive la popolazione ha poco peso…

R. – La popolazione ha poco peso. Spesso gli africani quando sono stanchi, sfiduciati, non vanno a votare, pensando che tanto non cambierà niente e che soprattutto il loro voto, in una situazione del genere, sarà irrilevante, perché poi vincerà chi deve vincere. L’aspetto sconcertante e particolarmente doloroso di questa situazione è che il Gabon è un piccolo Paese – non arriva a due milioni di abitanti –; produttore di petrolio, è rientrato a far parte dell’Opec i primi di luglio. E difatti la dinastia Bongo – il padre dell’attuale presidente che ha guidato il Paese dal 1967 al 2009, quando è morto lasciando in eredità la carica al figlio – ha accumulato, è cosa risaputa, una fortuna grazie al petrolio del suo Paese. Per cui la situazione è quella di un Paese con un terzo degli abitanti che è sotto la soglia di povertà, ma con un Prodotto interno lordo (Pil) che è invece tra i più elevati del continente africano: questa è veramente una situazione paradossale. Il 35 per cento dei giovani non ha lavoro; la disoccupazione è complessivamente al 20 per cento. E questo – ripeto – con una ricchezza che poi non è soltanto quella del petrolio. Inoltre vorrei aggiungere un’altra ricchezza fondamentale: una popolazione giovane. L’età media dei gabonesi è di 21 anni: anche questa, se fosse ben amministrata, è una risorsa enorme.

D. – Invece l’Unione Africana, che – lo ricordiamo – è l’organizzazione internazionale che comprende tutti gli Stati africani ad eccezione del Marocco, può giocare un ruolo ora?

R. – Dovrebbe averlo. Fa proprio parte dei suoi compiti, attraverso l’invio degli osservatori, monitorare lo stato del Paese dal punto di vista democratico, con la facoltà, nel caso, di sospendere dall’organismo un Paese in cui si verifichi un deficit vistoso di democrazia. Di fatto però questo non succede, perché dell’Unione Africana fanno parte – come ha detto giustamente – praticamente tutti i Paesi africani, e forse fra poco rientrerà anche il Marocco. Questo vuol dire che ci sono decine di leader che si trovano in una situazione analoga o che immaginano di potervi rientrare. Di conseguenza, al di là poi di dichiarazioni ufficiali, questi ultimi sono molto prudenti nel prendere di mira un collega sapendo di potersi ritrovare, a loro volta, nel mirino dell’organizzazione.








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