2016-08-26 13:15:00

Proteste dei minatori in Bolivia, ucciso il viceministro dell’Interno


La Bolivia di nuovo alla ribalta della cronaca internazionale con la protesta dei minatori in sciopero da giorni per chiedere al governo maggiori diritti, concessioni e più rappresentanza sindacale. Nella notte, alcuni lavoratori hanno sequestrato e ucciso il viceministro dell’Interno, Rodolfo Illanes. Immediata la reazione della polizia che è scesa in strada arrestando 100 persone non lontano da La Paz dove il viceministro si era recato per trattare con loro. “Questo ennesimo crimine non resterà impunito”, ha assicurato il capo della Difesa, ma intanto il governo di Evo Morales sembra in forte difficoltà. La Bolivia è uno dei Paesi più poveri dell’America Latina, anche se potenzialmente ricchissimo per le risorse naturali come gas e petrolio. Fino a poco tempo fa, tali risorse erano quasi esclusivamente in mano alle grandi multinazionali straniere, ma oggi le cose sono cambiate grazie a una serie di riforme volute dal presidente Evo Morales, il primo indio a salire sulla poltrona presidenziale boliviana, ottenendo nell’ottobre del 2014 il suo terzo mandato quinquennale. Sul piano internazionale, l’avvento di Morales ha comportato un affrancamento del Paese dall’influenza statunitense e un progressivo avvicinamento alle posizioni del Venezuela. Oltre la povertà e i conflitti sociali, resta l’annosa questione della coltivazione della coca e della produzione della cocaina che foraggia il narcotraffico, rendendo la Bolivia il terzo Paese produttore di questa droga. Cecilia Seppia ha chiesto un’analisi a Luis Badilla, giornalista esperto di questioni latinoamericane:

R. – Quello con i minatori è un conflitto che dura da parecchie settimane. Negli ultimi giorni, è venuto fuori sulla stampa interna e internazionale in maniera più prepotente per via dell’uccisione, l’altro ieri, di due minatori nel corso delle proteste. La Chiesa, i vescovi hanno fatto proprio ieri una dichiarazione nella quale parlano di questa tragedia e parlano del conflitto in concreto – conflitto delicato, complicato – e chiedono dialogo tra i minatori e il governo. Il tutto nasce da una nuova legge – la famosa Legge 356 – che regola in Bolivia la dinamica e l’istituzionalità delle cooperative. Fra le tante cose che i minatori non accettano vi è la sindacalizzazione nelle cooperative e questi piccoli proprietari cooperativisti rifiutano questa parte della legge – anche altre, ma soprattutto questa – perché dicono che significa la chiusura delle loro piccole imprese.

D. – Proteste, conflitti, interessi diversi, minatori che vengono uccisi durante le manifestazioni e c’è anche l’uccisione del viceministro degli Interni proprio da parte di minatori in sciopero…

R. – Sì, è successa anche questa cosa terribile che va condannata, perché non si può prendere in ostaggio, neanche per buone ragioni, un funzionario del governo e per di più ucciderlo. Tra l’altro, la Confederazione nazionale delle cooperative ha condannato energicamente questo crimine. La tensione è alta…

D. – Che Paese è oggi la Bolivia e quali sono le difficoltà maggiori che questo Paese si trova a dover affrontare giorno dopo giorno?

R. – Direi sostanzialmente sia un Paese con un’altissima conflittualità sociale, perché non è in vita solo questo conflitto, ce ne sono altri nel campo dell’agricoltura, dei lavoratori dell’impiego pubblico, nelle università. Ma al tempo stesso, è un Paese povero che affronta con molte difficoltà la crisi economico-finanziaria internazionale. Anche il Papa quando è andato in visita ha potuto constatare il livello di povertà. Un Paese dove la coscienza politica è cresciuta moltissimo e quindi c’è un grande movimento rivendicativo che chiede diritti giusti negati per secoli. Un Paese, infine, segnato dalla piaga del narcotraffico.

D. – Conflittualità sociale molto alta, ma anche una politica estera regionale governata da interessi economici, soprattutto – questi – energetici, perché non dimentichiamoci che la Bolivia comunque è un Paese ricco di risorse naturali. Penso al gas, al petrolio…

R. – Ma questo è il problema di tutti i Paesi emergenti, che sono Paesi molto ricchi dal punto di vista delle risorse naturali, delle materie prime, però non hanno né i capitali né la tecnologia. In questo, il presidente Evo Morales ha cercato in modo abbastanza coraggioso di coniugare le due cose: la sovranità, l’indipendenza, la libertà del Paese con la presenza di interessi economici e finanziari stranieri, pensando allo sviluppo e alla crescita materiale della nazione. Ma non sempre è possibile, perché la logica di uno Stato, di un insieme di comunità locali – come in questo caso la Bolivia, che è un Paese anche dal punto di vista etnico e sociale molto complesso – e gli interessi delle holding, delle corporation, non sempre si possono mettere insieme. Spesso, infatti, la logica degli interessi delle multinazionali è lo sfruttamento selvaggio, rapace, senza badare a cosa rimane dopo, e cioè nulla.

D. – Evo Morales è salito sulla poltrona presidenziale della Bolivia per il suo terzo mandato nell’ottobre del 2014. Come dicevi tu, ha iniziato un’epoca di riforme anche in favore delle fasce più deboli, tra le quali comunque ha un alto indice di popolarità. Però tutte queste proteste non rischiano in qualche modo di minare la sua figura, il suo ruolo, il suo carisma anche?

R. – Lui affronta da parecchio tempo, da diversi anni, una perdita di consenso sociale notevole, in parte per politiche specifiche di fronte a questioni diverse, ma soprattutto per uno stile di governo – in particolare del suo partito – che è uno stile che ha un volto leggermente autoritario. E quando un governo è autoritario tende a stabilire – come direbbe Papa Francesco – dei muri e non a rinforzare la politica dei ponti.








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