Chiuderà il campo-profughi di Manus Island, in Papua Nuova Guinea, struttura gestita dal governo australiano, al centro di forti polemiche per il trattamento disumano riservato ai migranti che intendono raggiungere le coste australiane, provenienti perlopiù dai Paesi asiatici limitrofi. La decisione, annunciata dal Primo Ministro di Papua Nuova Guinea, Peter O'Neill, e dal ministro australiano per l'Immigrazione, Peter Dutton, ha generato soddisfazione nella Chiesa cattolica australiana e nella società civile, che in passato più volte avevano criticato le condizioni di vita nel campo.
Chiesa pronta ad offrire assistenza a profughi e rifugiati
“La Chiesa accoglie con favore la decisione di chiudere
il centro, dove si trovano persone in detenzione da oltre tre anni", dice padre Maurizio
Pettena, Direttore dell'Ufficio per i migranti nella Conferenza episcopale australiana,
citato dall’agenzia Fides. “Molti gruppi religiosi e comunità cattoliche in Australia
sono pronti a offrire assistenza a quanti si trovano in condizioni di rifugiati –
continua - Esortiamo il governo a fare tutto il possibile per trovare rapidamente
un insediamento per queste persone.”
Dignità della persona sia sempre al primo posto
“Siamo preoccupati – aggiunge padre Pettena - perché
quanti sono stati individuati come veri rifugiati potrebbero non trovare un paese
che li accolga. La Chiesa cattolica si oppone a un campo di detenzione a tempo indeterminato
e a risposte politiche che non rispettano la dignità delle persone bisognose di aiuto”.
“È imperativo che la dignità della persona umana venga sempre al primo posto – conclude
il sacerdote, esortando il governo australiano a modificare le attuali politiche migratorie.
Vivere cultura dell’incontro e dell’accoglienza
Sulla stessa linea anche mons. Vincent Nguyen Van
Long, delegato della Conferenza episcopale australiana per la pastorale dei migranti
e rifugiati: “In questo Anno della Misericordia – scrive il presule in un messaggio
diffuso sul sito web dei vescovi australiani - dobbiamo vivere una cultura dell'incontro,
dell’accoglienza e dell’accettazione, a livello personale e comunitario”. Di qui,
il richiamo all'esempio di Papa Francesco, dopo aver visitato l’isola di Lesbo, il
16 aprile, “ha portato con lui 12 rifugiati siriani, musulmani, che avevano visto
le loro case distrutte dalla guerra”.
Aprire il cuore alla compassione
Per questo, mons. Van Long invita i fedeli “ad aprire
il cuore alle sofferenze degli altri", all'insegna della “compassione, che letteralmente
significa ‘soffrire con’ ed è il segno distintivo del cristianesimo”, sentimento da
riscoprire e “vivere nell'Anno giubilare della Misericordia". (I.P. – Fides)
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