2016-08-23 13:37:00

Libia, Tobruk nega la fiducia a al-Sarraj: l'unità è lontana


Libia nel caos. Dopo aver negato – con 61 voti contrari e 39 astenuti –  la fiducia al governo di Accordo Nazionale (Gna), appoggiato dall’Onu e guidato da al-Sarraj, la Camera dei rappresentanti di Tobruk ha dato al Consiglio presidenziale di Tripoli (Cp) un’ultima alternativa: formare un esecutivo ridotto con un massimo di 12 ministri. Il voto, secondo il vicepresidente della Camera di Tobruk, Ihmid Houmah, sarebbe illegale, perché l'ordine del giorno è stato cambiato all'ultimo minuto. Il presidente egiziano Al Sisi, importante mediatore, conferma il suo appoggio al governo in Cirenaica e al generale Haftar, che acquisisce sempre maggior potere nella Libia orientale. Sul complicato scenario, dopo la mancata fiducia ad al-Sarraj, Eugenio Murrali ha intervistato Arturo Varvelli, esperto di Libia dell’Istituto di Politica Internazionale (Ispi):

R. – Il Paese risulta spaccato in due, perlomeno, non tanto per le formazioni di due governi che controllerebbero il territorio – mi riferisco al Parlamento di Tobruk, da una parte, che ha ancora un esecutivo, e, dall’altra parte, al Consiglio presidenziale di Sarraj, che è uscito dalla trattative condotte dalle Nazioni Unite – quanto per le due organizzazioni di milizie, di combattenti, che realmente detengono il controllo del territorio. In Cirenaica ci sono quelle che rispondono al generale Haftar e, dall’altra parte, ci sono le forze coalizzate di Misurata e di Tripoli che stanno combattendo lo Stato Islamico nella città di Sirte e che supportano il nucleo iniziale del governo delle Nazioni Unite. Questo voto, dal punto di vista formale, incancrenisce una situazione che è sempre più difficile da sbrogliare.

D. – L’Egitto prende una posizione piuttosto forte a favore di Tobruk e di Haftar...

R. – La palla passa anche ai protettori internazionali di queste due entità protostatuali. Per quanto riguarda Tobruk e Haftar, troviamo l’Egitto e in buona misura anche la Russia. Dall’altra parte ci sono le potenze occidentali, che maggiormente appoggiano il governo di Tripoli e, almeno formalmente, il processo di transizione delle Nazioni Unite e altre forze regionali importanti come la Turchia, ad esempio. Poi ci sono alcune potenze – in particolare europee – che non mancano di ambiguità. Mi riferisco alla Francia, che appoggia formalmente la transizione del governo delle Nazioni Unite di Sarraj, però dall’altra parte ha sostenuto, anche militarmente, le truppe di Haftar. La soluzione non può che passare da un compromesso, che è innanzitutto di tipo regionale. L’Egitto deve essere in qualche maniera garantito. Il Paese è terrorizzato dalla presenza di islamisti in Cirenaica e dall’altra parte aspira ad avere un ruolo importante nella regione. Inutile dire che questa è una regione ricca e che naturalmente la costituzione di una sorta di “Stato cuscinetto” in Cirenaica andrebbe a favore dell’Egitto e del governo egiziano, in questo momento.

D. – Tobruk propone al governo di accordo nazionale la possibilità di formare un nuovo esecutivo ridotto. Questa mossa dove vuole arrivare?

R. – Non è la prima volta che vengono proposte misure di questo tipo. Talvolta, queste decisioni tendono a mirare a una sorta di rimpasto, inserendo nomi nuovi che siano di maggiore garanzia, altre volte hanno solamente intenzioni dilatorie. Tobruk potrebbe anche mirare a uno status quo infinito in questa maniera. Dall’altra parte, può celarsi anche un reale tentativo distensivo. Quindi, è ancora troppo difficile capire, lo potremo vedere nei prossimi gironi.

D. – Questa mancata fiducia segna la sconfitta delle mediazioni dell’Onu o c’è ancora la possibilità di trovare una soluzione unitaria per questo Paese?

R. – Penso che ancora ci sia, questo però non dipenderà solamente dalle parti libiche. È stato uno degli errori commessi da Bernardino Leòn quello di continuare a condurre una trattativa dando valore alle istituzioni libiche che esistevano, come se queste in realtà controllassero realmente il Paese. Kobler ha capito che questa istituzionalizzazione, un po’ surreale, non poteva che condurre a un disastro e ha cercato di allargare, coinvolgendo nelle trattative per la formazione di questo governo di unità nazionale le varie componenti sociali e politiche del Paese. Ha cercato anche di introdurre in questo dibattito politico le comunità locali, in parte anche quelle tribali. Dopodiché, anche la spinta di Martin Kobler si è un po’ esaurita. I libici sono esausti di questo conflitto. Non penso che il popolo appoggi questa divisione del Paese.

D. – Sul fronte terrorismo questo voto cambia qualcosa?

R. – No, non credo cambi molto. Il generale Haftar, che ha sempre decantato la sua lotta ai terroristi – tra i terroristi include non solo gli appartenenti allo Stato islamico, ma soprattutto la Fratellanza musulmana e altre forze islamiste che stanno combattendo, ad esempio, a Bengasi – in realtà non ha mai combattuto lo Stato islamico a Sirte. Lì lo hanno combattuto i misuratini e lo hanno combattuto le forze di Tripoli, che avevano accusato anche Sarraj di non aver fatto abbastanza e di non essere stato in prima linea in questa lotta. Questo è cambiato dopo che Serraj ha chiesto l’intervento statunitense e occidentale al fianco dei combattenti misuratini. Ciò potrebbe favorire Serraj e la sua popolarità in Tripolitania, anche se questa è prevalentemente legata allo stato di salute del cittadino medio libico e del cittadino medio che ancora ha naturalmente molti problemi, perché tutti i più basilari sostentamenti del vivere quotidiano non sono assicurati. Ed è soprattutto questo quello che il cittadino medio, come in ogni luogo della terra, mira ad avere. Mira ad avere l’elettricità, una raccolta dei rifiuti, degli ospedali aperti e in qualche maniera funzionali. Quindi, da questo punto di vista, c’è ancora molto da fare. 








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