2016-08-17 12:55:00

Australia, Chiesa: proteggere i rifugiati sull'isola di Nauru


Un’indagine di Amnesty International e Human Rights Watch ha svelato i gravissimi abusi nei confronti di uomini, donne e bambini che cercano rifugio in Australia. Proprio oggi il governo ha accettato di chiudere il campo di detenzione nell’isola di Manus, ma resta aperto quello nella sperduta isola-nazione di Nauru, dove chi cerca asilo viene trasferito forzatamente e costretto a trattamenti disumani, di abbandono e in condizioni sanitarie precarie, spesso celati da un muro di segretezza e omertà. Anche la Chiesa locale è preoccupata e ha lanciato un appello al ministro dell’Immigrazione, Peter Dutton, affinché “agisca immediatamente per ridurre la sofferenza umana dei profughi di Nauru. Salvatore Tropea ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:

R. – I trasferimenti avvengono quando le persone raggiungono la terraferma australiana, altre volte vengono intercettate in mare e a seguito di un accordo tra Australia e Nauru c’è questa modalità di detenzione offshore, che costa all’Australia un miliardo e 200 milioni di dollari ogni anno e che consente in questo modo al governo australiano di non avere sul suo territorio persone di cui dover gestire la richiesta di asilo politico. Sono centinaia, in buona parte minori non accompagnati e anche molte donne. Ci sono stati periodi in cui il centro ha ospitato anche più di mille richiedenti asilo.

D. – Da quali Paesi arrivano, i richiedenti asilo e quali percorsi seguono per arrivare via mare fino in Australia?

R. – Sono persone che provengono da Paesi asiatici e dunque si imbarcano via mare dove è possibile, lungo i mari del Sudest asiatico, spesso dalla Thailandia o anche dal Pakistan… Ma ci sono anche mediorientali, siriani, ad esempio, iraniani, iracheni, altri che arrivano dall’Afghanistan… Sono tutte persone che nel corso di questi anni hanno mostrato, in ragione della loro provenienza, di avere pieno titolo ad avere asilo politico, ad avere una procedura con delle garanzie, dignitosa, che rispetti i loro diritti. E invece sono trattenute in questa sorta di parcheggio in mezzo al mare, un’isola che sarà grande forse anche meno dell’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma, in condizioni che costituiscono detenzione vera e propria. Con quanto è emerso poi tanto dalle ricerche fatte sull’Isola da Amnesty International e da Human Rights Watch a luglio, e successivamente da documenti resi pubblici dal quotidiano inglese “Guardian”, riguardo a numerosi casi di violenza sessuale nei confronti dei minori che – lo ricordo – sono minori soli, non accompagnati, e anche nei confronti di donne, da parte del personale che gestisce questo centro di detenzione. L’Australia ha dato al mondo un esempio molto negativo, e purtroppo c’è anche in Europa chi vorrebbe imitarlo, cioè quello di non consentire l’ingresso sul territorio e di affittare, pagare qualcuno affinché trattenga queste persone e gestisca le richieste di asilo politico. Sono anni che questo appello perverso viene presentato in Europa come un modello possibile, quando invece bisogna assolutamente contrastarlo, perché nega i diritti fondamentali delle persone.

D. – Come è stato possibile scardinare il muro di segretezza che copre questi abusi e cosa si può fare di più per informare e sensibilizzare l’opinione pubblica?

R. – Io credo che il fatto che Amnesty International e Human Rights Watch siano riusciti a rimanere per 12 giorni e in modo assolutamente legale, cioè con il consenso delle autorità, sia un segnale positivo. In secondo luogo, questi documenti che sono trapelati all’inizio di agosto e che ha pubblicato il “Guardian” e che stanno facendo un enorme giro nei mezzi di informazione di ogni parte del mondo hanno danneggiato profondamente la reputazione del governo australiano. Qui si parla di 8 mila pagine già pubbliche di un totale di 2.000 documenti in cui si parla di violenze efferate nei confronti dei minori, di casi di autolesionismo per disperazione, di violenza sessuale contro le donne… E’ una specie di Abu Ghraib in mezzo al Pacifico… Quindi, io credo che questo già sia un buon risultato. Ora sta all’Australia prendere provvedimenti nell’immediato nei confronti delle persone che sono implicate come responsabili di questi terribili fatti di violenza. L’Australia è un Paese ricco che dà un contributo purtroppo minimo alla soluzione della crisi globale dei rifugiati e quel contributo minimo che dà lo dà nel modo che viola i diritti umani nella maniera più evidente.








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