2016-08-09 14:06:00

Bagno di sangue in Etiopia. Polizia uccide 100 manifestanti


In Etiopia, sono state represse duramente dalla polizia le manifestazioni dello scorso fine settimana. I gruppi etnici degli Oròmo e degli Amhara erano scesi in piazza, nella capitale Addis Abeba e in diverse altre zone del Paese, rivendicando maggiori diritti. Secondo Amnesty International, sono oltre 100 le vittime e centinaia le persone arrestate e a elevato rischio di tortura. Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, ne parla al microfono di Elvira Ragosta:

R. – Sono scese in piazza centinaia e centinaia di persone in modo del tutto pacifico per rivendicazioni politiche ma anche di giustizia, diritti umani e per la fine della repressione, che va avanti dalla rivoluzione del 1991.

D. – A scendere in piazza, in diverse zone, gli Oromo e gli Amhara, due tra i principali gruppi etnici del Paese, che insieme rappresentano il 60% della popolazione, composta da 94 milioni di persone. Quali nello specifico le rivendicazioni?

R. – Le proteste si sono svolte nella regione di Oromia – che dal novembre scorso è interessata da manifestazioni, da quando il governo ha annunciato un nuovo piano regolatore che ingloberebbe nel maxi distretto della capitale parti delle terre degli Oromo – e dal luglio di quest’anno la situazione è precipitata anche nella regione di Amhara. Qui c’è una rivendicazione di tipo territoriale da parte di un comitato per l’autodeterminazione del Wolkait, che è un distretto della regione del Tigray e che prima della rivoluzione del ’91 apparteneva per l’appunto all’Amara, e qui vorrebbero riportarlo. E’ stato arrestato uno dei leader di questo comitato per l’identità e l’autodeterminazione del Wolkait e questo ha dato luogo a proteste di massa. Tanto nella regione di Amara quanto in quella di Oromia, ma anche nella capitale Addis Abeba, è da tempo che si scende in piazza in maniera pacifica.

D. – Che informazioni avete sulle persone arrestate?

R. – Quello che risulta ad Amnesty International è che oltre al bagno di sangue che c’è stato con oltre 100 morti, il numero degli arresti sia persino superiore: diverse centinaia, pare, trattenuti in centri di detenzione non ufficiali, in isolamento, senza contatti con il mondo esterno e dunque ad elevato rischio di tortura.

D. – Queste manifestazioni erano state vietate per impedire alle persone di organizzarsi e il governo aveva anche bloccato l’accesso a Internet. Quali sono i timori di Amnesty sul rispetto dei diritti umani nel Paese?

R. – Il governo di Addis Abeba non si fa problemi da anni, da decenni anche, nell’usare la forza e metodi brutali e anche in questo caso forme più sottili di repressione, come il blocco di Internet, per impedire ogni forma di dissenso. Nonostante questo, le persone sono scese in strada e la risposta che è stata data con pallottole vere contro manifestanti inermi è stata spaventosa.

D. – C’è la possibilità che, nonostante la repressione delle manifestazioni, il governo poi conceda parte delle rivendicazioni dei manifestanti?

R. – La speranza intanto è che non ci sia un ulteriore bagno di sangue e che la repressione non prosegua. Ma non c’è molto ottimismo. L’auspicio è che anche i leader regionali dell’Unione Africana – Paesi che hanno rapporti importanti con l’Etiopia – convincano le autorità intanto a non usare più le armi, le armi da fuoco contro i manifestanti, e poi a cercare una via negoziale per soddisfare queste richieste.

D. – A proposito di questo, c’è stata una reazione da parte delle organizzazioni regionali o dell’Unione Africana?

R. – A quanto ci risulta non ancora. Tra l’altro, questo bagno di sangue è rimasto abbastanza sconosciuto per diverse ore, perché sull’ultimo fatto grave, avvenuto domenica 7, Amnesty International è riuscita a raccogliere queste informazioni soltanto nella serata di lunedì. Quindi è possibile, è auspicabile anzi, che ci sia una presa di posizione da parte dell’Unione Africana, ma al momento non risulta.

D. – Quali sono le informazioni che ricevete sulle condizioni, al momento, all’interno del Paese?

R. – E’ una situazione che va via via peggiorando: uso della tortura, manifestazioni represse nel sangue, un clima di censura nei confronti della stampa, impossibilità di svolgere attività politica, carcere per ogni forma di opposizione di natura parlamentare, che riguardi richieste di riforme politiche. La situazione è questa. Ci sono ancora molti attivisti per i diritti umani che coraggiosamente riescono a far trapelare notizie sulle violazioni di questi diritti, in un Paese che è storicamente molto chiuso e anche molto impermeabile allo scrutinio e al controllo internazionale.








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