2016-08-08 15:18:00

Ventimiglia, visita di Gabrielli. Caritas: proteste pretestuose


Addebitare ai No Border la morte del nostro collega” è “poco serio". Il capo della Polizia Franco Gabrielli commenta cosi' la morte dell'assistente capo Diego Turra, sabato scorso mentre si apprestava a partecipare ad un servizio di contenimento dei manifestanti a Ventimiglia. Dopo la morte dell’agente, a Ventimiglia, dove la tensione sembra rientrata, i "no borders" avevano preferito dar vita a un presidio anziché all'annunciata manifestazione a difesa dei migranti che si trovano nel centro della città ligure e che cercano di attraversare il confine con la Francia. Sei gli arresti di ieri al confine, diversi gli oggetti contundenti sequestrati. La protesta dei "no borders" è dannosa e pretestuosa: è la convinzione di Maurizio Marmo, direttore di Caritas Ventimiglia-Sanremo, al microfono di Francesca Sabatinelli:

R. – In queste ultime settimane, sono passate da Ventimiglia migliaia di persone. Abbiamo cercato di proporre soluzioni per far sì che i migranti e la città possano convivere con questa situazione e che i primi possano avere un’accoglienza dignitosa. È stato  aperto un centro d’accoglienza gestito dalla Croce Rossa con la quale collaboriamo anche noi. Pensiamo che questa possa essere una risposta importante e positiva. Purtroppo, c’è chi non la considera significativa e che quindi ritiene di dover lottare per l’apertura della frontiere in modo “antagonistico”, quindi si rischia un po’ di vanificare quello che si sta facendo.

D. – A oggi ritiene soddisfacente l’accoglienza dei migranti? Lei più di una volta ha denunciato le condizioni in cui queste persone venivano lasciate…

R. – Sì, in questo campo i posti sono stati incrementati nel corso di questi giorni. Poi, comunque, la Prefettura ha deciso di accogliere di far entrare tutti i migranti che erano in attesa anche all’esterno, per cui si è in parte risolta la situazione. In precedenza c’erano anche 100, 200 migranti che non avevano accesso ai servizi minimi soprattutto quelli igienici, quindi una doccia o l’acqua potabile, quella sì che era una situazione deplorevole, perché il campo non poteva ancora contenere tutte le persone che invece ci sono in questi giorni. Poi, successivamente il numero è aumentato e si è deciso comunque di far accedere tutti e quindi sicuramente la situazione è migliorata. Nel frattempo, ci si sta organizzando sempre meglio all’interno del campo per poter poi implementare anche altri servizi.

D. – Una delle denunce dei "no borders" è rivolta al centro in cui è le persone, si dice, sono malnutrite, insultate, sequestrate… Tutto questo a lei non risulta?

R. – Direi che sono accuse o infondate o comunque un po’ esagerate ed eccessive, nel senso che poter accogliere al meglio 400-500-600 persone non è semplicissimo, per cui possono indubbiamente esserci delle difficoltà e delle carenze. Su quello cerchiamo anche noi di sollecitare dei cambiamenti e dei miglioramenti, ma in modo costruttivo, mentre ci sembrano pretestuose queste loro affermazioni e soprattutto farle in un modo che secondo noi crea disagio sia ai migranti che alla città. All’interno del campo, si è attivato un servizio di informazione legale, di orientamento, per far conoscere meglio la normativa europea – anche noi riteniamo che la Convenzione di Dublino sia inadeguata, ma comunque al momento è in vigore – e quindi le conseguenze che una loro scelta può avere, come ad esempio la possibilità per gli eritrei di beneficiare della "relocation", anche se con i difetti, con le lentezze che ha questo meccanismo, oppure la possibilità di chiedere asilo in Italia. Quindi, si cerca di dare informazioni e poi chi è intenzionato a proseguire il viaggio lo potrà fare comunque, ma vorremmo dare maggiore consapevolezza alle persone. Chiaramente, anche noi siamo per l’apertura delle frontiere per far sì che le persone possano chiedere l’asilo nel Paese in cui vogliono perché magari hanno familiari, per motivi di vicinanza culturale o per altre ragioni. Quindi, chiediamo un cambiamento delle regole di Dublino, però nel frattempo si può dare comunque una risposta che definiamo “umanitaria”, di vicinanza alle persone in viaggio. Abbiamo conosciuto tante persone, tanti ragazzi che sono pacifici, che fuggono dalle guerre, soprattutto dal Darfur, i due terzi delle persone che stanno passando sono sudanesi e cercano solamente una vita migliore. Pensiamo sia fondamentale dar loro una mano e un aiuto e lo facciamo in collaborazione con la Croce Rossa all’interno nel campo. Stiamo anche continuando, presso la chiesa di Sant’Antonio l’accoglienza delle famiglie, delle mamme, dei bambini, perché la chiesa è più vicina alla stazione, al centro città quindi, per le famiglie, è più agevole arrivare e avendo appunto numeri alti al campo è ancora utile che ci sia questo tipo di servizio. Quello che cerchiamo di fare è di essere disponibili un po’ a 360 gradi rispetto alle esigenze attuali della città.








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