2016-08-03 19:06:00

Libia: ancora raid a Sirte, Italia pronta a concedere basi


In Libia si registrano nuovi raid aerei, nel centro di Sirte, contro obiettivi del cosiddetto Stato islamico. A compierli è stata l’aviazione libica che fa capo alle milizie di Misurata, fedeli al governo nazionale libico sostenuto dall'Onu. Sul terreno è di almeno 18 soldati morti il bilancio di un attentato kamikaze a Bengasi, nella parte orientale del Paese. L’Italia, intanto, è pronta a sostenere la missione militare americana mettendo a disposizione basi e spazio aereo. Ma sulla durata dell’operazione si alternano voci contrastanti. Il servizio di Amedeo Lomonaco:

I raid militari statunitensi iniziati lo scorso primo agosto contro le milizie dello Stato islamico non prevedono una durata limitata ma proseguiranno fin quando saranno eliminate le basi jihadiste a Sirte. Ad affermarlo - contrariamente da quanto indicato dall’esecutivo italiano e dai media americani secondo cui la missione dovrebbe durare non più di un mese – è il portavoce di una forza fedele all’esecutivo libico di Al Sarraj. La fonte precisa anche che la richiesta di un intervento mirato, da parte del governo di unità nazionale libico, non è stata rivolta ad un singolo Paese ma all’intera comunità internazionale. Nell’operazione militare si delinea anche IL ruolo dell’Italia. Il governo italiano - ha affermato il ministro della difesa Roberta Pinotti - è pronto a dare, su specifica richiesta dell’esecutivo libico, il necessario supporto alla missione militare:

“Il governo è pronto  a considerare positivamente un’eventuale utilizzo delle basi e degli spazi aerei nazionali a supporto dell’operazione, dovesse tale evenienza essere ritenuta funzionale ad una più efficace e rapida conclusione dell’azione in corso”.

Intanto il Parlamento di Tobruk - la città dell’est della Libia che non ha ancora conferito la propria fiducia al governo di Al Sarraji sostenuto dall’Onu - dopo aver giudicato illegittimi i raid statunitensi ha convocato l’ambasciatore americano in Libia.

Sull'operazione militare in Libia, Francesca Sabatinelli ha sentito in proposito Andrea Ungari, dell’Università Luiss-Guido Carli:

R. – Io non credo che basti solamente liberare Sirte con dei bombardamenti. Nonostante gli americani cerchino sempre di replicare l’idea del dominio dell’area, di bombardamenti e operazioni aeree, in realtà non sono sufficienti poi a rendere sicuro e stabile un territorio, soprattutto un territorio come quello libico che è enorme. In realtà, la liberazione di Sirte non può che poi essere accompagnata da un intervento militare diretto, i famosi “boots on the ground” (stivali sul terreno – intervento di terra, ndr). Non bastano semplicemente delle operazioni aeree per stabilizzare un Paese, uno Stato, che tra l’altro non esiste più da circa due anni. Se si è deciso di puntare su al-Sarraj come elemento che possa poi riunificare tutti i territori della Libia, credo che, se non nell’immediato, ma un intervento poi diretto degli eserciti sia necessario non solo per la sicurezza degli Stati Uniti e per quanto riguarda l’Italia, ma proprio per la stabilità del Mediterraneo. Per una serie di motivi, che non sono, come spesso si può pensare, solamente quelli energetici, che pure sono rilevanti per gli interessi dell’Italia in Libia, ma sono anche motivi di carattere umanitario, e che riguardano il regolamento di flussi di migranti che partono dalla Libia, che ormai stanno assumendo proporzioni sempre più grandi e consistenti, tra l’altro con tutto il portato di morte che colpisce poi le imbarcazioni. Ma la Libia, proprio perché è Stato fallito, e proprio per le caratteristiche delle sue coste, è diventata anche un punto in cui c’è il continuo traffico di armi, droga, ma anche di esseri umani. La stabilizzazione della Libia è un passaggio fondamentale per quella di tutto il Maghreb, innanzitutto, e poi di tutto il Mediterraneo.

D. – Anche in caso di vittoria, i rischi per i libici, i civili, restano comunque molto alti…

R. – Sono ovviamente i rischi di una guerra vera e propria. Se si prevede anche un intervento militare diretto, è chiaro che ci sarà uno scontro e questo può prevedere anche una guerra civile interna tra i due governi libici, tra i quali non si è mai riuscito a realizzare un accordo vero e proprio. C’è quindi anche l’ipotesi di una guerra civile interna, tra le varie anime, che poi sono le varie tribù, etnie, che compongono il quadro libico. Quindi, i rischi per la popolazione civile ovviamente ci sono. È pur vero che sono gli stessi rischi che ci sono stati finora, perché – ripeto – la condizione della Libia come Stato fallito e tutta questa situazione di contrasto interno tra Daesh, il governo di al-Sarraj e l’altro non riconosciuto, ha esposto la popolazione a dei rischi consistenti. Un intervento che cerchi di stabilizzare in qualche maniera il territorio – a mio avviso – in una prospettiva futura non può che andare a vantaggio della popolazione libica. I rischi che correrebbe il popolo libico certamente non sono altrettanto maggiori di quelli che sta correndo in questi ultimi anni dopo che si è disgregata l’unità statale libica.








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