2016-08-03 08:00:00

La battaglia su Sirte. Oggi l'Italia decide sul suo ruolo


Trenta giorni: tanto dureranno i raid in Libia, per liberare Sirte dall’Is, condotti dagli Stati Uniti. Lo ha comunicato Washington anche all’Italia che mette a disposizione Sigonella e il suo spazio aereo, rispondendo alla richiesta del comando statunitense. Intanto, sono decine i soldati fedeli al generale Haftar, morti ieri a Bengasi, in un attacco suicida rivendicato dalle forze del Consiglio della shura dei rivoluzionari della città, una coalizione estremista islamica. Francesca Sabatinelli:

Gli Stati Uniti lavorano con il governo di unità nazionale libico per “assicurarsi che lo stato islamico non abbia una roccaforte in Libia”. Barack Obama spiega così l’intervento Usa su Sirte, pianificato su richiesta di Tripoli con l’obiettivo di liberare la città dall’Is ma soprattutto per favorire il governo guidato da al-Serraj. L’Italia metterà a disposizione la base militare di Sigonella, se verrà richiesta, e il suo spazio aereo, il suo ruolo verrà definitivamente chiarito oggi alla Camera dal ministro della Difesa Pinotti, già ieri il capo della diplomazia Gentiloni aveva parlato con il premier Al Serraj, rassicurandolo che l’Italia garantirà il suo sostegno sul piano umanitario e per riportare la Libia ad una situazione di stabilità. L’intervento statunitense è in linea con la risoluzione delle Nazioni Unite, la 2259 dello scorso dicembre, avevano già anticipato ieri dal palazzo di Vetro, seppur con prudenza, per non creare tensioni con Mosca, che critica duramente le mosse degli Usa, definendo ‘illegali’ i bombardamenti. Gli Stati Uniti, ha però sottolineato il portavoce di Ban Ki-moon, hanno agito su richiesta del governo libico

Per capire cosa sta avvenendo in Libia, Roberta Barbi ha sentito Paolo Sensini, storico e scrittore esperto di geopolitica:

R. – In Libia, non c’è un governo che rappresenti la totalità delle tribù, dei gruppi, delle formazioni che sono lì: c’è il governo di unità nazionale a Tripoli, voluto dall’Onu – appoggiato sostanzialmente dalle forze di Misurata, che si sono avvicinate molto dappresso a Sirte – e ci sono le forze invece che fanno riferimento al generale Khalifa Haftar, a Tobruk, che è appoggiato da Egitto e Francia. Anch’egli sta spingendo e si è avvicinato a Sirte. Gli americani sono intervenuti ottemperando a un patto che era già implicito nell’investitura di al Sarray.

D. – L’apertura di un nuovo fronte di guerra da parte degli americani può essere interpretata come una volontà di accelerare la lotta al terrorismo?

R. – È chiaro che c’è una volontà di intervenire, ma c’è il fatto che la Russia non è assolutamente favorevole a questi tipi di intervento, non c’è un appoggio. E c’è il fatto, per esempio, che Khalifa Haftar – il generale in contrasto con il governo di unità nazionale di Tripoli – pochi giorni fa, si è recato a Mosca. C’è una volontà di imporre un intervento preciso a guida americana e, sul piatto della bilancia, il fatto che gli americani hanno intenzione di rientrare all’interno di quello scenario.

D. – È stato detto che i raid andranno avanti “fino a che la Libia lo richiederà” e specificato che saranno raid di precisione condotti con droni. Quante vite costerà questa operazione?

R. – Questo lo vedremo, poi, a cose fatte. Tutte le promesse degli interventi chirurgici che c’erano in passato, che abbiamo visto, non si sono poi rivelate tali: hanno fatto, cioè, tantissimi morti.

D. – Il governo di Tripoli ha fatto richiesta ufficiale di intervento agli Stati Uniti. Il premier libico, sostenuto dall’Onu, al Sarray, lo ha confermato, ma ha anche ribadito che il suo esecutivo rifiuterà ogni tipo di ingerenza straniera senza mandato: è un riferimento alla Francia che, peraltro, in una telefonata del ministro Ayrault, ha ribadito di voler rafforzare la sua cooperazione con Tripoli?

R. – Ayrault e la Francia, che non hanno riconosciuto il governo di Tripoli, collaborano con Haftar. C’è una politica del doppio binario francese. È ovvio che c’è una contrapposizione. C’è una scollatura tra coloro che sono intervenuti ed è ovvio che ciascuno ha delle mire precise. La Francia vede nella Libia una cassaforte energetica e quello che a loro interessa di più è la possibilità di proiettarsi nel Sahel, che sono le aree che trafficano commercialmente e hanno come moneta nazionale il franco CFA, che è una moneta di pertinenza francese.

D. – La Farnesina ha salutato positivamente l’intervento e ha fatto sapere in merito all’uso della base di Sigonella che valuterà se questa sarà richiesta. Come si configura il ruolo dell’Italia?  

R. – Non valuterà. È implicito con gli americani che nel momento in cui verrà richiesta Sigonella, immediatamente verrà data la possibilità di utilizzarla. Si discuteva verso la fine dell’anno che l’Italia sarebbe potuta intervenire e l’operazione sarebbe stata auspicabilmente a guida italiana. In realtà, l’Italia, come già era avvenuto nel 2011, guarda dalla finestra, non interviene e accetta passivamente tutto quello che le accade.

D. – Per l’Italia un intervento in Libia è particolarmente “risolutivo”, perché da lì parte il 90% dei migranti che arrivano sulle nostre coste…

R. – Certo che sarebbe risolutivo, ma non c’è alcuna capacità, alcuna intraprendenza e iniziativa da parte dell’Italia. Non c’è nessuna volontà di intervenire concretamente e si aspetta che gli eventi procedano in un modo o nell’altro.








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