2016-07-22 12:14:00

Brasile: l'ombra dell'Isis sui Giochi di Rio


A pochi giorni dall’inizio dei Giochi olimpici di Rio 2016, in Brasile sale l’allarme per possibili azioni terroristiche. La bandiera del terrore approda nel Sud America e minaccia di colpire durante i Giochi: nero è il colore della paura, rosso quello dei sanguinosi attentati finora rivendicati dall’Isis. Nelle ultime ore, il sedicente Stato islamico (Is) è tornato a farsi sentire e nel mirino questa volta è finita Rio de Janeiro, che ad agosto ospiterà i Giochi olimpici. La polizia federale è riuscita ad arrestare un gruppo di dieci potenziali terroristi, i quali avrebbero giurato fedeltà all’Is offrendosi per colpire durante la manifestazione sportiva. Michele Ungolo ha intervistato Marco Lombardi, esperto di terrorismo e docente di Gestione del rischio e Crisis management all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano:

R. – È la prima volta che abbiamo un gruppo terrorista che occupa uno spazio geografico. Hanno costruito un Califfato che ha un luogo geografico: il “Siraq”, ossia la Siria e l’Iraq. E poi è un terrorismo che si inquadra soprattutto in un contesto molto differente: quello della globalizzazione. La globalizzazione è un nostro prodotto e questo terrorismo ne sta usando in maniera assolutamente competente gli effetti: quindi si estende su tutto il pianeta.

D. – Il clima di tensione si estende giorno dopo giorno in un nuovo Paese. In Europa, la Francia è finita nell’occhio del ciclone e adesso anche il Brasile diventa una zona calda…

D. – Sì, le tendenze alla diffusione aumenteranno. Noi la definiamo una guerra “delocalizzata”, pervasiva, diffusa, quindi ci saranno punti di attrazione che aumenteranno. Poi in Brasile – lo abbiamo tutti sotto gli occhi – ci saranno le prossime Olimpiadi. E abbiamo visto che il modus operandi del terrorismo è andare a colpire quelli che si chiamano “soft targets”: quindi i grandi eventi per esempio, soprattutto quelli molto mediatizzati, sono evidentemente dei punti di attrazione. Il terrorismo promuove il terrore, il terrore si porta avanti – si promuove – attraverso la comunicazione. Ci stiamo lavorando e stiamo cercando di capire quali siano le possibilità di penetrazione e la decina di arresti ieri in Brasile conferma purtroppo la capacità di penetrazione, soprattutto attraverso la Rete. Questa è moltiplicata dal fatto, se si guarda agli arresti, che si tratta di persone estremamente giovani – 17, 18, 20 o 22 anni – quella che chiamiamo la generazione “digitale”, che vive, lavora, gioca, ma si radicalizza anche nella Rete. Inoltre, tutto ciò con delle derive particolari nel Sud America: abbiamo notato che ci sono certe favelas particolarmente penetrabili da parte della propaganda di Daesh.

D. – Data l’imprevedibilità di questi attori dell’orrore, risulta sempre più difficile comprendere dove e come avverrà una nuova azione di attacco…

R. – L’imprevedibilità è da sempre lo strumento preferito dal terrorismo, sottolineato e richiamato soprattutto da Daesh in questi ultimi mesi con delle campagne comunicative intensissime, come quelle in particolare dell’aprile e maggio 2016, in cui ha chiamato il “Lone Wolf” a colpire improvvisamente. E poi anche rispetto a una capacità opportunistica che ha Daesh: in fin dei conti noi possiamo anche argomentare sulle ragioni per cui alcuni di questi lupi solitari hanno colpito – se si tratti di vera adesione, vera vicinanza ideale o ideologica a Daesh – ma a Daesh questo alla fine importa poco. Importa poco quale sia la ragione profonda per cui una persona si sia mossa con un camion facendo strage sulla Promenade di Nizza. Daesh dice: “Quella è roba mia!”. E questo sfruttamento comunicativo fornito dall’occasione ottiene gli effetti che Daesh vuole.

D. – I luoghi con il maggior numero di afflusso di civili sono costantemente sorvegliati e protetti, ma i riflettori ora sono puntati sulle Olimpiadi di Rio…

R. – Le Olimpiadi, come ogni altro evento mediatizzato, sono sicuramente sotto potenziale attacco. Questi luoghi sono anche per loro natura dei luoghi aperti: “securizzare”, come si dice in gergo, iniziative di questo tipo, è possibile ma è estremamente difficile. Ormai ci stiamo abituando, purtroppo: i tornelli e i metal detector per le partite di calcio, ma fra un po’ anche ai musei o ai concerti che teniamo nelle piazze… Purtroppo, il modus operandi che si sta importando o esportando dipende dalla posizione in cui ci mettiamo: è quello dell’Intifada dei coltelli, dell’Intifada delle bombe, è quello tipico del Medio Oriente. Questo poi porta evidentemente ad altre modalità operative, ma innanzitutto ci interroga sul fatto se sia questa la soluzione, perché è una soluzione che ha un impatto enorme sulla nostra vita quotidiana.








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