2016-07-20 10:48:00

La febbre del "Pokemon Go" arriva anche in Italia


E' sbarcata anche in Italia l’applicazione “Pokemon Go”, che ha già raggiunto 21 milioni di utenti nel mondo. Obiettivo del videogioco fruibile tramite smartphone è la ricerca virtuale, tramite Gps, degli animaletti, protagonisti della celebre serie animata giapponese degli anni Novanta, sparsi per le città, nei luoghi più disparati. Una febbre dilagante che potrebbe generare comportamenti di massa ossessivi. Gioia Tagliente ne ha parlato con Donatella Marazziti, docente di psichiatria a Pisa e membro scientifico della Fondazione BRF, Istituto per la Ricerca Scientifica in Psichiatria e Neuroscienze: 

R. – Una delle tante follie del nuovo millennio, che rischia di diventare una vera e propria epidemia, che possiamo anche far rassomigliare a un comportamento compulsivo. Ed essa sottolinea, da un altro punto di vista, la difficoltà a relazionarsi direttamente con gli altri, favorita dall’uso smodato delle nuove tecnologie.

D. – Questa App coinvolge un po’ tutte le generazioni: come mai?

R. – Sottolinea un disagio che è transgenerazionale. Le difficoltà a relazionarsi, ad incontrare gli altri, ai contatti sociali diretti: questo è un problema che riguarda bambini, adolescenti e adulti. Quindi è segno di un isolamento che attraversa tutte le varie età della vita.

D. – L’Applicazione come può influire sulla nostra mente?

R. – Quando pensiamo, dobbiamo figurarci il pensiero come un percorso, che avviene dentro di noi – c’è un inizio; cerca delle strade diverse; e poi imbocca un certo cammino – quindi è un percorso con dei tempi particolari. Le nuove tecnologie o questi giochi così immediati, tagliano o eliminano molte delle tappe che caratterizzano il pensiero umano, dando anche una gratificazione piccola e immediata nel momento in cui si raggiunge il Pokémon o il Pokémon più raro, con una gioia effimera.

D. – E come mai?

R. – Io penso che alla base ci sia proprio una difficoltà a gioire, nel senso sano del termine. Quindi ci accontentiamo di queste piccole soddisfazioni invece di ricercare quelle più vere, che sono tipiche della nostra specie: incontrare gli altri, dialogare, rapportarsi e stabilire dei rapporti di amicizia e di amore. Ma questi ultimi implicano sacrificio e impegno, e sembra che un po’ tutte le generazioni del mondo di oggi, giovani e vecchi, non abbiano molta voglia di impegnarsi.

D. – Qual è il rischio?

R. – La possibilità che possano cambiare delle attitudini, specificità della specie umana, che derivano dall’impegno, dal sacrificio e dall’incontro con gli altri. In particolare, si potrebbe avere un’attenuazione di quel famoso senso morale innato che ci caratterizza e che portato agli estremi  – nel senso del suo affievolimento o assenza – potrebbe anche spiegare dei comportamenti abnormi, come quelli terroristici.

D. – Si può giocare in modo responsabile?

R. – Educare al gioco sano, che è quello con gli altri, sin da piccoli; il gioco manuale: i giochi che implicano silenzio, tempo e rapporto con gli altri. Nessuno ha più voglia di impegnarsi a lungo: pensiamo al gioco con i mattoncini e ai Lego, in cui i bambini delle vecchie generazioni, e anche noi, ci siamo dilettati per ore e ore. Adesso, tutto, subito e immediatamente: è gratificazione nel breve termine. 








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