2016-07-19 19:16:00

Turchia: oltre novemila arresti, sospesi migliaia di insegnanti


Continuano gli arresti da parte del governo Erdogan dopo il tentato golpe di venerdì scorso. Sono ormai oltre 9.300 le persone finite in carcere per una presunta complicità nel colpo di Stato. Provvedimenti di allontanamento e sospensione nell’istruzione, nelle istituzioni religiose e nei media. Intanto Erdogan, che si è detto pronto a reintrodurre la pena di morte con l’approvazione del parlamento, annuncia: “costruiremo caserme su piazza Taksim”. Il servizio di Michele Raviart:

Dopo esercito, polizia e magistratura, il giro di vite di Erdogan sulla Turchia del dopo-golpe si stringe su istruzione e religione. Oltre 15 mila dipendenti delle scuole pubbliche sono stati sospesi, revocate 21 mila licenze a docenti delle scuole private e chieste le dimissioni agli oltre 1.500 professori decani dalle università del Paese. Per loro, come per i 492 tra imam e docenti religiosi allontanati dalla massima autorità religiosa statale, l’accusa è di simpatizzare con il movimento di Fetullah Gulen, il predicatore e filosofo che per Ankara è considerato l’ideatore del golpe e si trova ora negli Stati Uniti. Revocate le licenze anche a 24 radio e televisioni  riconducibili a Gulen, sul quale pendono quattro dossier inviati dal governo a Washington per legittimare la richiesta di estradizione. Continuano poi i retroscena sul giorno del tentato golpe. I servizi segreti turchi affermano di aver avvertito i vertici dell’esercito già alle 16 di venerdì, mentre lo stesso Erdogan, che si trova a Istanbul e non è ancora rientrato nella capitale, ha affermato che se quella sera fosse rimasto nel suo resort ancora qualche minuto sarebbe morto. Il presidente turco ha annunciato per domani un’importante decisione che sarà resa pubblica dopo la riunione del consiglio di sicurezza nazionale, mentre ha già avvertito che su piazza Taksim a Istanbul, simbolo delle proteste contro il governo, saranno costruite delle caserme.

In Turchia crescono i timori sociali e preoccupa soprattutto la situazione delle minoranze etniche e religiose. Gabriella Ceraso ha raccolto il parere del corrispondente da Istanbul dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, Dimitri Bettoni:

R. – I sostenitori di Erdogan, i più conservatori, i più nazionalisti, in questo momento si sentono estremamente galvanizzati e questo protagonismo, però, si traduce anche in una serie di azioni molto molto a mio modo di vedere gravi, aggressioni, linciaggi … sono state assaltate, per esempio, sedi di partiti di opposizione, sono stati aggrediti anche ragazzi proprio nel mio quartiere semplicemente perché la sera successiva al colpo di Stato, prendevano un po’ di fresco e bevendo qualche birra sul lungomare. Ci sono state aggressioni anche a quartieri di minoranze politiche e di minoranze etniche, quali possono essere ad esempio gli aleviti.

D. – Che aria si respira e cosa dice la gente?

R. – Sicuramente c’è una sensazione di vuoto, di insicurezza, nel senso che quello che sta accadendo non è finito, cioè le conseguenze sono tuttora in corso. La tendenza generale è che il sostegno al governo sia ancora molto, molto forte presso l’opinione pubblica. D’altra parte è anche vero che le opposizioni in questo momento non si sentono sicure a manifestare apertamente …

D. – Invece, tutto il mondo intellettuale, inclusi i giornalisti, che cosa fa in questo momento? Può parlare? In che termini lo fa? Avete qualche timore in più?

R. – La maggior parte dei media, anzi, la quasi totalità dei media si è schierata contraria al golpe; però ci sono stati giornali, siti, giornalisti che hanno anche messo in guardia la popolazione dalle possibili derive autoritarie. Anche questo tipo di reazioni vengono in questo momento considerate come pubblicità al golpe e questo ha portato, ad esempio, alla chiusura di circa una ventina di siti di informazione, ha portato all’arresto di una giornalista piuttosto di spicco, e ha portato – ad esempio – anche alla restrizione di movimento nei confronti dei giornalisti. Altra cosa molto grave, a mio parere, è come certe testate e certi nomi di giornalisti in Internet e in particolare su certi “social media”, siano oggetto di una vera e propria campagna di diffamazione denigratoria. Questo è pericoloso perché rischia di mettere queste persone nel mirino di alcuni tipi di reazioni violente.

D. – Nel mirino di questo clima incandescente sono finiti anche i cristiani: chi è che intimidisce, e perché?

R. – Sì, purtroppo ci sono notizie di questo tipo che riguardano un po’ tutte le minoranze in Turchia, che è un Paese che tra minoranze etniche e religiose ospita 35 diversi gruppi. Quello che il governo sta facendo in questo momento non aiuta a creare un clima di distensione; il fatto di chiamare continuamente  in strada i propri sostenitori, nel momento in cui dovrebbe essere il governo a tornare a gestire la cosa, significa di fatto anche aizzare i peggiori istinti interni alla popolazione. C’è sicuramente un problema di radicalizzazione dei movimenti religiosi che rischia di sfociare, appunto, in queste azioni intimidatorie. E’ un problema che rischia di sfociare, appunto, in queste azioni intimidatorie; è un problema che non è recente in Turchia …

D. – E’ cambiato qualcosa nella sua professione, dopo essere stato testimone di quanto è accaduto? Ha qualche pensiero particolare, anche nei confronti delle prospettive future?

R. – Il fatto che io non sia un cittadino turco e che il mio pubblico privilegiato sia quello italiano, in parte mi protegge. Sono invece più preoccupato per colleghi che cercano di fare informazione qui, nel Paese, perché diventano facilmente oggetto e bersaglio di intimidazioni verbali e fisiche.

D. – Quindi, raccontare quello che effettivamente succede è diventato molto più difficile?

R. – Sicuramente sì; ma questo sta accadendo da molto e il tentato colpo di Stato andrà ad aggravare la situazione. Non sono assolutamente ottimista che questa supposta difesa alla democrazia popolare poi si tradurrà in effettiva democrazia funzionante …








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