2016-07-17 10:30:00

San Miniato: Scaparro dirige il dramma di Oscar Romero


A San Miniato, in provincia di Pisa, è in corso fino al 20 luglio l’annuale Festa del Teatro. Filo conduttore della settantesima edizione è la fede che si esprime in una esistenza votata al bene. Al centro del cartellone è "Il martirio del Pastore", storia di una morte che diventa dono per gli altri. Il dramma ripercorre la vicenda di mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo salvadoregno, determinato a chiedere il rispetto dei diritti umani per la sua gente, oppressa allora dalla dittatura militare, per questo ucciso nel 1980 e beatificato nel maggio 2015 da Papa Francesco. Il servizio di Adriana Masotti:

Il  testo di Samuel Rovinski, uno dei più rappresentativi drammaturghi del Costa Rica della seconda metà del ventesimo secolo, tradotto e adattato da Eleonora Zacchi per la regia di Maurizio Scaparro, racconta gli ultimi tre anni di vita di mons. Romero. Le sue denunce contro la violenza, le torture e le sparizioni, il suo stare sempre dalla parte degli ultimi, avevano fatto di lui un prete e un vescovo scomodo, oggi un martire riconosciuto. Ma che cosa ha convinto uno dei maggiori registi e critici teatrali italiani a mettere in scena quest’opera? Sentiamo lo stesso Maurizio Scaparro:

R. – Quella di Romero è una grande figura e ad una persona come me, che ha ricevuto un’educazione anche religiosa ma che non ha il privilegio di credere, ha incuriosito il fatto che, morto nell’80, fosse calato il silenzio su di lui. Il fatto che poi con l’avvento di Papa Francesco, e anche un po’ prima, si sia cercato di ricordare questa figura che significava anche ricordare qual è stato l’intreccio in tutto il mondo, ma anche in Salvador, tra l’oligarchia e la Chiesa, questo è un problema grande naturalmente che tutti noi abbiamo credenti o non credenti. La figura di padre Romero è incredibilmente limpida; lui vuole essere sacerdote assolutamente fedele alla Chiesa e non vuole accettare il modo in cui si viveva nel Salvador in quegli anni. La sua figura è limpida, lucida, coraggiosa. Mi ha colpito il suo modo di vivere apparentemente mite e in realtà poi duro, preciso. Questa è la ragione per cui mi sono detto: “Voglio ricordare a me stesso gli anni in cui ho seguito da vicino la Chiesa, come militante nell’Azione Cattolica e come studente, e che cosa significa oggi ricordare padre Romero, con una piccola domanda che ancora mi pongo: “Come mai per tanti anni non se ne è parlato?”.

D. - Indubbiamente Oscar Romero corrisponde, se così si può dire, alla visione della Chiesa guidata in questi anni da Papa Francesco …

R. - Esatto. Questa è stata la spinta per me. Poi quando ho visto l’adattamento del testo, mi sono accorto che c’era un’attenzione naturale a certi aspetti  che mi hanno colpito. Per esempio, Romero aveva scoperto la possibilità di parlare ai fedeli del Salvador, usando la radio della chiesa. Così poteva collegarsi con tutte le piccole città del Paese e abbracciare in una sola trasmissione tante omelie, tanti interventi che altrimenti non sarebbe stato possibile far arrivare materialmente, al servizio della comunità. E questo mi fa piacere dirlo alla Radio Vaticana perché mi sembra una cosa molto importante.

D. – Maurizio Scaparro, quale esperienza ha vissuto come regista mettendo in scena questo lavoro?

R. - Ho la tendenza ad essere di solito una persona che in scena preferisce togliere piuttosto che mettere, perché penso che la cosa importante sia usare bene lo spazio, la parola e il significato delle parole. Per quanto riguarda l’incontro con “Il martirio del Pastore” ho pensato in questa splendida piazza di San Miniato di costruire un palco che fosse il più nudo possibile con tre livelli: il livello della piazza, il livello della chiesa, il livello dell’altare. Tutti gli attori si muovono attorno a questi tre piani, le luci sono abbastanza suggestive perché riesco a raccogliere in questo spazio il mondo dei fedeli, dei preti, degli oppositori ...

D. - Lei che ha alle spalle tante attività, che esperienza sta facendo a San Miniato? Che cosa pensa di questa Festa del Teatro che ritorna da tanti anni?

R. - Mi fa piacere che mi abbiano invitato. Penso che sia importante che questo festival riprenda forza, per farlo conoscere. Lei sa che è seguito da tanto pubblico. Cosa mi aspetto? Che si possa partire ricordandoci una cosa che ogni tanto possiamo dirci tra noi che siamo in Europa: tutti noi, compresa lei, penso abbiamo sperato che nascesse l’Europa della cultura, invece è nata l’Europa delle banche. Forse anche nel nome di Romero sarebbe bello se potessimo cambiare passo e cercare di costruire, ognuno come può, un’Europa della cultura partendo anche da questo incontro a San Miniato.

D. –“Il martirio del Pastore” sarà probabilmente ripreso a Roma nella prossima stagione teatrale. È così?

R. - Io credo di si. Spero si possa portare per alcuni giorni a Roma, e comunque andremo in giro.

Una scelta carica di significati, quella fatta quest’anno dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare, a cui si deve l’iniziativa di San Miniato, proponendo la storia dell’ arcivescovo Romero: mette al centro la fede che diventa anche speranza, lotta per il bene. Marzio Gabbanini, presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione:

R. – Sì. Noi volevamo festeggiare questo 70.mo e lo abbiamo fatto scegliendo un tema – il tema conduttore della fede, come diceva lei - che è un tema in completa assonanza con quelli che sono i principi dei soci fondatori. Il nostro è un teatro dello spirito, non è un teatro di tipo confessionale: è un teatro che deve stimolare quelle che sono le inquietudini dell’uomo moderno; è un teatro che deve parlare alla mente, ma anche al cuore di tutti gli uomini. Credo che quest’anno, con questo spettacolo, “Il martirio del Pastore” di Rovinski, ci siamo assolutamente riusciti! Il successo di queste sere sembra lo dimostri: successo di pubblico, ma anche mi pare di critica. Il cast è un cast di eccezione, così come il regista: Maurizio Scaparro è un grande del teatro; abbiamo Antonio Salines e non sta certo a me dire quali siano le qualità e la grandezza di questo attore; Edoardo Siravo e tutti gli altri… Il tema della fede è, appunto, fede non intesa in maniera passiva; ma una fede attiva, una fede positiva: come diceva un mio insegnante quando ero molto più giovane: “Se si ha fede, si può cambiare il mondo”.

D. – Appunto, scuotere le coscienze è l’obiettivo anche di questo Festival…

R. – Esatto! Scuotere le coscienze e riportare l’attenzione su un dramma, che è poi un dramma universale, un dramma di sempre: l’attenzione agli ultimi - anche secondo gli insegnamenti cristiani e noi siamo una forma di teatro di ispirazione cristiana - per riportare all’attenzione i principi dell’uguaglianza, i principi della libertà e i principi della giustizia.

D. – Una iniziativa – quella della Festa del Teatro  – molto sentita da tutta San Miniato?

R. – Noi siamo particolarmente fortunati a San Miniato, perché la gente comune ci segue tutta: il dramma popolare è qualcosa di sentito nell’anima e nella mente di tutti. Anche le istituzioni ci sono molto vicine: la Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato, la Spa Bancaria di San Miniato, il Comune. Ma anche e soprattutto la diocesi. E’ arrivato da poco il nuovo vescovo, mons. Andrea Migliavacca, che è il vescovo più giovane di Italia, che da subito ha manifestato una attenzione particolare e una vicinanza alla nostra istituzione. Noi abbiamo questa fortuna! L'ho voluto sottolineare per metterlo in evidenza…








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