2016-07-06 13:02:00

Nel mondo 250 milioni i minori che vivono in aree di guerra


Sono 250 milioni i ragazzi e le ragazze che stanno crescendo in aree in conflitto, di cui 16 milioni i bambini, un dato del genere non si registrava dalla seconda guerra mondiale. E’ quanto è emerso da un rapporto dell’Unicef in cui si evince come la complessità e la durata delle emergenze umanitarie sono aumentate soprattutto in Afghanistan, Siria, Yemen, Sudan e Africa centrale. In media ogni giorno 4 scuole o ospedali sono obiettivi di attacchi armati, soprattutto nei Paesi Arabi il retaggio culturale è una delle cause di violenze sui minori. Dal 2014 solo in Nigeria il gruppo terroristico di Boko Haram ha colpito e distrutto 1.200 scuole, uccidendo oltre 600 insegnanti. Gioia Tagliente ne ha parlato con Giacomo Guerrera, presidente Unicef Italia:   

R. – In queste aree non c'è materiale sanitario a sufficienza; sono state distrutte delle scuole. E’ una situazione piuttosto drammatica, dove purtroppo la comunità internazionale non è riuscita ad intervenire in maniera adeguata.

D. – Come mai?

R. – Nel 2000 tutta la comunità internazionale, soprattutto i Paesi ricchi, avevano deciso di aiutare i Paesi poveri con il sette per mille del prodotto interno lordo e questa promessa non è stata mantenuta. Poi nel 2001 ci sono state le Torri Gemelle e sono aumentate le azioni terroristiche, per cui dal paradigma della solidarietà si è passati al paradigma della sicurezza: tutte le risorse sono state destinate alla sicurezza interna dei diversi Paesi. In questi 15 anni non sono stati raggiunti gli obiettivi di sviluppo che si sono conclusi nel 2015 e che dovevamo raggiungere anche attraverso questi aiuti. A questo punto sarà ancora più difficile raggiungerli e ancora più costoso.

D. – La cooperazione internazionale può fare qualcosa in questo senso?

R. – Dove la situazione è una situazione di crisi per conflitti, bisognerebbe allora che le nazioni mettessero mano ad un intervento forte, per cercare di mettere pace fra le parti contendenti, anche imponendolo se è il caso.

D. – Come mai le scuole sono obiettivi principali di attacco armato?

R. – L’istruzione serve a soggiogare le popolazioni, per cui è più facile imporre quelli che sono i loro credo. La mancata istruzione determina delle conseguenze a lungo termine. In media un anno di istruzione in più nei diversi Paesi determina il 5,6% in più del prodotto interno lordo. C’è anche un dato culturale che sta alla base di tutto questo: la discriminazione fra bambine e bambini.

D. – In cosa consiste?

R. – Dalle mutilazioni genitali femminili, la donna non viene considerata come è considerata giustamente in casa nostra e in tutti i Paesi evoluti, in maniera paritaria rispetto all’uomo. La donna in questi Paesi svolge un ruolo importante per il sostegno della famiglia ma non le viene riconosciuto e a questo punto poi si verificano tutte le discriminazioni possibili, prima fra tutte l’istruzione. A scuola non dovrebbero andare le donne, a scuola devono andare soltanto gli uomini. Ecco perché in molti Paesi c’è proprio un’azione violenta nei confronti delle scuole, soprattutto delle scuole frequentate da bambine. Le scuole, quindi, comunque, vengono bombardate, vengono distrutte. E’ chiaro che la volontà è quella di mantenere uno status quo che consolidi sempre questa discriminazione fra uomo e donna.

D. – Qual è l’impegno di Unicef?

R. – I programmi di Unicef sono sicuramente indirizzati nei Paesi in guerra a creare dei "blue dot", dei "punti blu" in cui i bambini possano ricevere aiuto, possano ricevere istruzione, possano ricevere quelli che sono gli interventi e gli aiuti necessari anche da un punto di vista psicologico. Questi bambini, infatti, in molti casi sono abbandonati, non hanno più neanche i genitori. Lo verifichiamo con quelli che arrivano a casa nostra, attraverso questa migrazione “biblica”. Questo, però, avviene anche nei loro Paesi. L’Unicef interviene creando dei punti di aggregazione con personale specializzato, oltre a fornire tutto ciò che è necessario da un punto di vista sanitario, alimentare e tutto ciò che serve. Chiaramente cerchiamo di recuperare i bambini ad una vita tranquilla, allontanandoli anche dalla loro famiglia, in alcuni casi, per parte della giornata, radunandoli all’interno di tende che sono come delle scuole. I bambini con grande disponibilità, con grandi sorrisi, con grande attenzione a questa attività che noi svolgiamo, riescono a dimenticare per alcune ore della giornata qual è il dramma che vivono assieme ai genitori.  








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