2016-07-06 13:37:00

Massacri nel Nord Kivu. I vescovi: fermare saccheggio risorse


Resta alta la tensione nel Nord Kivu, martoriata provincia orientale della Repubblica Democratica del Congo, dove dall’inizio dell’anno sono stati chiusi sette centri di accoglienza perché le popolazioni locali accusano gli sfollati di etnia Hutu di essere dei complici delle FDLR (Forze Democratiche di Liberazione del Rwanda), ribelli Hutu ruandesi che rendono instabile la regione da 20 anni a questa parte. Sempre nel Nord Kivu, nella città di Oicha, nove civili sono stati massacrati a seguito di un assalto attribuito ai ribelli delle Forze Alleate Democratiche (ADF), un gruppo islamico ugandese. I vescovi locali hanno richiamato l’attenzione sullo sfruttamento delle risorse, parlando di tensioni create ad arte per spopolare le aree più ricche. Sulle annose turbolenze nelle regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo, Marco Guerra ha intervistato Anna Bono, docente di Storia dei Paesi africani presso l'Università di Torino:

R. – In quell’area la guerra è formalmente finita, ma in realtà continua! In quelle regioni si contano decine di gruppi armati, ciascuno con una sua base etnica, che si finanziano tutti con il contrabbando di risorse minerarie, che sono immense; con il contrabbando di prodotti di bracconaggio e con incessanti razzie di villaggi, con relativi episodi gravissimi di violenza che alimentano – a loro volta – le tensioni etniche. E c’è un’altra guerra che è finita, da ormai 20 anni in effetti, che ha però ancora delle ripercussioni enormi in queste regioni del Congo: è la guerra, anzi il genocidio dei tutsi in Rwanda  nel 1994. Questo genocidio dei tutsi da parte degli hutu in Rwanda si è concluso con la vittoria delle truppe tutsi, guidate da Paul Kagame. Man mano che queste truppe avanzavano, alcuni milioni di rwandesi hutu si sono riversati nel Paese vicino e cioè il Congo: lì, in Congo, si sono riorganizzati, creando dei gruppi armati che tuttora esistono e che tuttora tentano di contrastare e di intervenire in Rwanda contro il governo in carica, che continua ad essere un governo tutsi.

D. – Secondo i vescovi locali, queste tensioni potrebbero essere alimentate ad arte per spopolare aree ricche di risorse naturali…

R. – In effetti queste risorse sono uno dei fattori dell’instabilità, come purtroppo in gran parte del continente africano. Anzi, ormai da anni si parla della “maledizione del rame” per lo Zambia; della “maledizione del petrolio” per la Nigeria… L’abbondanza enorme, immensa in certi casi, di risorse naturali e preziose alimenta disordini e conflitti; ma li alimenta soprattutto – ed è proprio il caso della Repubblica Democratica del Congo – perché alla base di questa situazione ci sono - in Congo, come in altri Paesi - governi che sono i primi responsabili dell’instabilità e delle situazioni che ne derivano. Queste regioni orientali sono praticamente fuori controllo: manca cioè un controllo e una protezione da parte del governo. Hanno ragione i vescovi: da parte del governo che anzi sembra favorire lo sfruttamento di cui poi si avvalgono e si avvantaggiano le élite al potere in quel momento, in questo momento, a scapito delle popolazioni locali.

D. – Proprio qualche giorno fa sono stati arrestati una settantina di miliziani che agivano in Kivu con violenze di massa e stupri…

R. – Certo: lei si riferisce al Sud Kivu.. Sono due regioni confinanti, Nord e Sud Kivu, in cui si sono verificati in particolare numerosi casi di violenze sessuali, addirittura su bambini… In effetti sono state arrestate 75 persone, ma non è un caso isolato. La mancanza di interesse da parte del governo del Congo si traduce anche in questo: una mancanza di interesse che dura ormai da tempo ed è particolarmente evidente in questo periodo, perché il presidente – l’attuale presidente del Congo, Joseph Kabila – sembra non aver in mente nient’altro da mesi, se non trovare un espediente per aggirare la Costituzione: il suo secondo mandato presidenziale sta per scadere e su questo si concentra e cioè su come rimanere al potere e di non cederlo a qualcun altro.








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