Favorire la diffusione e l’accesso alle cure palliative e “rimettere in discussione gli ideali di autodeterminazione della persona, performance e fattibilità veicolati dalla società moderna”: questa la strada per affrontare le nuove sfide della vecchiaia e della morte contro la pericolosa tendenza oggi alla sua banalizzazione. È quanto afferma “Il suicidio degli anziani: una sfida. Considerazioni etiche nella discussione sul fine vita e sulle le cure palliative”, un ampio studio della Commissione giustizia e pace svizzera presentato nei giorni scorsi a Berna con il quale la Chiesa svizzera si propone di dare un nuovo contributo al dibattito più che mai aperto nel Paese sui temi dell’autodeterminazione, della fragilità, della morte e del suicidio assistito.
No alla pianificazione della morte
Il documento di 50 pagine parte da una constatazione di fondo: il nuovo modo di rapportarsi
della società contemporanea con la morte. Da tabù essa è oggi diventata un “tema onnipresente”
di cui si parla apertamente e pubblicamente. Soprattutto con l’invecchiamento della
popolazione e l’allungamento della vita consentito dagli straordinari progressi della
medicina, la morte diventa sempre più un progetto, un evento da pianificare “razionalmente”
in anticipo per non lasciare nulla al caso e renderla “umana, degna e buona” .
No all’aiuto agli anziani a morire
Ma questa enfasi sull’autodeterminazione della persona, sta anche accreditando nell’opinione
pubblica l’idea di estendere l’accesso all’assistenza al suicidio – ammessa dalla
legge svizzera per i malati terminali e per le persone colpite da sofferenze intollerabili
- alle persone anziane, anche se non sono in fin di vita. Lo testimoniano il sorprendente
consenso raccolto nel 2015 in Svizzera da una discutibile proposta finalizzata a concedere
alle persone molto anziane la possibilità di mettere fine alla propria esistenza ricorrendo
ai servizi delle organizzazioni di assistenza al suicidio e l’impennata delle adesioni
a queste associazioni registrata in Svizzera in quest’ultimo anno.
Ogni vita umana fa parte di una rete sociale
Ed è agli interrogativi etici posti da questi preoccupanti sviluppi che cerca di rispondere
in una prospettiva cristiana l’articolato documento della Commissione Giustizia e
Pace. Per i cristiani, si sottolinea, “ogni vita umana fa parte di una rete sociale,
dalla nascita alla morte: la dipendenza dagli altri, quindi, non è una tara, ma un
aspetto fondamentale della condizione umana, così come la frammentarietà e l’imperfezione”
della vita. Ogni tentativo di controllo della propria vita è in questo senso destinato
al fallimento”.
Una società che esclude gli anziani e i suoi membri più deboli è disumana
Per questo le raccomandazioni rivolte alla società nella parte conclusiva dell’opuscolo,
evidenziano che la “morte deve di nuovo essere compresa come parte della vita” e come
“evento sociale”. La società “non ha il diritto di escludere gli anziani”, ma deve
dare un “migliore riconoscimento alla cura” che i parenti prestano agli anziani e
morenti. “Una società che esclude ogni suo membro debole, anziano e non autosufficiente
diventa disumana”.
Cercare nuove forme di offerta pastorale per accompagnare gli anziani
Alla Chiesa, Giustizia e Pace raccomanda invece di porsi in un atteggiamento di ascolto
per trovare “risposte nuove e credibili alla ricerca di una buona morte”; di farsi
“portavoce degli anziani e dei più vulnerabili”; di impegnarsi di più nella promozione
delle cure palliative e parlare più spesso di vita e di morte, studiando “nuove forme
di offerta pastorale” per accompagnare gli anziani. Quanto al sistema sanitario, si
chiede di “estendere l’offerta delle cure palliative”, continuando “a esplorarne le
possibilità e i limiti”. (A cura di Lisa Zengarini)
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