2016-07-02 15:48:00

La Caritas Italiana compie 45 anni: sempre a favore degli ultimi


La Caritas italiana compie oggi 45 anni. Al suo primo Convegno nazionale, nel 1972, Paolo VI delineava il compito di questo organismo pastorale della Chiesa: “Al di sopra dell’aspetto puramente materiale della vostra attività, aveva detto, deve emergere la sua prevalente funzione pedagogica”. E in questi anni questa missione è proseguita, insieme alla realizzazione di oltre 14 mila microprogetti di sviluppo in 466 diocesi di 72 Paesi del mondo, per contribuire alla crescita di persone e comunità. Ma che 45 anni sono stati quelli trascorsi? Federico Piana lo ha chiesto a Paolo Beccegato, vicedirettore di Caritas italiana:

R. – Direi certamente molto turbolenti, sia internamente alla società che ha visto in qualche modo mutare geneticamente in questi anni le sue stesse strutture interne. E’ una società che ha visto, appunto, delle fasi storiche: possiamo ricordare decadi particolarmente forti sia dal punto di vista sociale sia dal punto di vista economico. Pensiamo in quest’ultimo decennio, per esempio, il tema della crisi economica e sociale che cosa ha comportato nella società italiana e anche europea, se vogliamo, e poi anche dal punto di vista internazionale: le mille sfide che abbiamo dovuto affrontare, e anche l’evoluzione all’interno della Chiesa e adesso, con Papa Francesco, questa grande spinta che ci ha dato in occasione dell’udienza che ci ha concesso per il nostro 45.mo.

D. – Come è cambiata in 45 anni la Caritas italiana?

R. – Prima di tutto, siamo cresciuti. Siamo cresciuti non solo in esperienza e in ambiti d’azione, però siamo cresciuti soprattutto in capillarità. La ricchezza di questa rete, che poi è la Chiesa stessa, è il fatto che, nonostante tutto, si riesca a essere presenti in modo molto esteso e anche in contesti dove certamente il lavoro sociale è accettato, è possibile farlo, anche dove la Chiesa fa fatica a essere presente. Penso all’Afghanistan, penso anche al contesto europeo dove la Chiesa è un’esigua minoranza, nell’Europa dell’Est in particolare, e quindi ci apre a un discorso di ecumenismo, di dialogo interreligioso … E poi, in Italia: in Italia siamo cresciuti molto perché la competenza delle nostre diocesi, delle nostre Caritas diocesane ormai è enorme! Spesso noi facciamo dei tavoli dove mettiamo insieme le competenze. Ormai noi a livello nazionale favoriamo dei processi, mentre su alcuni temi impariamo certamente e quindi anche da parte nostra, è bello vedere come è la crescita: crescono i figli e i genitori devono anche far loro spazio, valorizzarli. Questo è importante, a livello nazionale, europeo e internazionale.

D. – Le sfide che si aprono adesso per la Caritas italiana quali sono? Ovviamente alcune sono già in corso; però, ecco, ci sono delle sfide per il prossimo futuro?

R. – Sì … io penso che il nostro mandato abbia questo elemento di continuità fortissimo, che così diventa anche la sfida più grande. Cioè, il nostro mandato che ci dà un prevalente funzione pedagogica, che significa capire veramente come una solidarietà fine a se stessa, assistenzialistica non porti a nulla, mentre la vera sfida è quella di un cambiamento culturale, di un disporre di valori alti al centro della Chiesa – e anche della società tutta – ecco: questa sfida oggi è più viva che mai. Quindi, l’intuizione geniale di Papa Paolo VI che ci ha istituiti e costituiti intrinsecamente con questo mandato, mettendolo proprio nell’articolo 1 del nostro Statuto, mantiene proprio qui tutta la sua continuità, la sua validità pensando proprio che questa è “la” sfida principale che dovremo affrontare nei prossimi anni, cioè una società nostra che con tutte le difficoltà di coesione, che diventa poi però anche di coesione culturale, sappia veramente guardare in alto, guardare i valori più alti, non dimenticarli, non sotterrarli sotto le difficoltà quotidiane e i rischi di ripiegamento egoistico su se stessi, ma capire e accettare questa sfida, aprirsi a un confronto, ad un’accoglienza, a un dialogo con tutte le culture, appunto un’apertura interculturale: sarà quella che ci porterà lontani e non vedrà un’Europa implodere su se stessa.








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