2016-06-29 07:54:00

Vertice Ue. Cameron: nessun rimorso per aver indetto referendum


“Un vertice storico”, così il presidente francese Francois Hollande ha definito il primo summit post Brexit, ieri a Bruxelles, dove David Cameron ha parlato per l’ultima volta davanti alla Commissione Europea. Il premier britannico, dopo aver difeso la sua decisione di convocare il referendum sull'Ue, ha ribadito che sarà il suo successore e il prossimo governo a negoziare il divorzio previsto dall'articolo 50 del trattato sull'Unione Europea. Il servizio di Valentina Onori:

Quello che si è tenuto nelle ultime 24 ore è stato un Consiglio europeo che non ha lasciato alcun dubbio sulle sorti della Gran Bretagna, duro nei toni e nella sostanza e che spinge il Paese a procedere con il divorzio dall’Ue “senza ulteriori indugi”. Il presidente della commissione Jean Claude Juncker ha precisato che prima Londra dovrà uscire dall’Unione, poi si potrà vedere come negoziare l’accesso al mercato unico attraverso la costruzione di un nuovo rapporto con la controparte inglese, che avrà già un nuovo premier. David Cameron, per il quale quello di ieri era l’ultimo discorso davanti al gruppo dei 27, ha chiesto ancora "un po' di tempo" per attivare la procedura di abbandono dall’Unione. Un divorzio, quello inglese, che secondo il presidente della Bce, Mario Draghi potrebbe provocare una frenata della crescita nell’eurozona, nei prossimi 3 anni, compresa fra lo 0,3 e lo 0.5 punti percentuali. "La Commissione europea farà di tutto per evitare una corsa agli sportelli bancari, che non rappresenta un pericolo al momento per l'Italia", ha detto al termine del summit Juncker, aggiungendo però che "date le circostanze" occorre essere sicuri che  "il settore bancario in Italia e altrove sia protetto nel miglior modo possibile". 

Ieri Merkel, Hollande e Renzi hanno evidenziato che “non c’è tempo da perdere” e hanno discusso una road map per rilanciare l’Unione. Su questo punto Marco Guerra ha sentito Carlo Altomonte, docente di politica economia europea alla Bocconi di Milano:

R. – L’incontro tra Francia, Germania e Italia secondo me ha dato il segnale che molti aspettavano, cioè l’idea di una raod map precisa su cosa succederà nei prossimi mesi all’interno dell’Unione Europea e che risposte dare sul percorso dell’integrazione politica e soprattutto economica e quindi definire - come è stato deciso ieri - grazie ai lavori del Consiglio europeo a settembre, a ottobre e infine a dicembre, una serie di decisioni, di passaggi importanti, sia sul fronte della sicurezza interna ed esterna, l’avvio al consolidamento di una politica di difesa comune e un rilancio nel tema della crescita economica e degli investimenti, tema ovviamente caro all’Italia. Su questo mi pare che i leader europei  - almeno i tre grandi che si sono incontrati ieri – siano abbastanza d’accordo. Vedremo già da oggi le conclusioni del Consiglio europeo che dovrà in qualche modo varare questa road map e poi i passi successivi.

D. - Quindi questo scossone potrebbe anche essere lo spunto per un cambio di rotta dall’austerity che ha segnato questi ultimi anni e anche verso una maggiore integrazione?

R. – Sì, anche se dobbiamo sempre tenere conto che in Europa è difficile che ci possano essere delle accelerazioni violente, nel senso che dovremo sempre mediare questa necessità di maggiore integrazione con le paure e  le diffidenze dell’elettorato. Non è detto che la Merkel vincerà le elezioni tedesche se oggi promette meno austerity in Europa ai suoi elettori. Quindi dovremmo vedere come tirare la linea tra le necessità di dare delle risposte ad alcuni Paesi e ovviamente il consenso politico interno in altri. Per questo è importante che i tre grandi continuino a parlarsi, a mediare e diano il senso di un percorso comune che però non abbia delle rotture importanti e delle fughe in avanti come per esempio il nuovo trattato, un’Europa federale,  … Il fatto che il pallino sia ritornato in qualche modo agli Stati, il fatto che ieri non fosse presente la Commissione Europea all’incontro, vuol dire che in qualche modo la politica sta prendendo il sopravvento in Europa e questa secondo me è una buona notizia.

D. - Oggi si parlerà della situazione al Consiglio europeo. Il clima si prospetta incandescente anche perché la Polonia intende mettersi alla guida di un gruppo di Stati che non accettano leadership del nuovo direttorio Francia-Germania-Italia …

R. - C’è ormai una presa d’atto: un conto è l’eurozona, quindi un conto è la necessità si maggiore integrazione tra i Paesi di area Euro che condividono la stessa moneta. Dunque i tre grandi Paesi fondatori, Germania, Francia e Italia, devono trovare delle risposte perché la storia ha avuto un’accelerazione con l’uscita del Regno Unito. Dall’altro lato è altrettanto evidente che altri Paesi che non hanno la moneta unica, come la Polonia, hanno delle esigenze diverse e quindi in qualche modo gestire un processo di un’Europa che vada a velocità differenti penso ormai sia nei fatti. Tentare di portare tutti sulla stessa strada, ci porta a compromessi che poi non danno le risposte che i cittadini si aspettano di avere sul fronte dell’integrazione economica e politico. Tutto questo poi crea delle situazioni di tensione che sfociano in voti politici di potenziale effetto disgregativo.

D. - Intanto Cameron frena sui negoziati per l’uscita e Merkel, Hollande e Renzi ribadiscono che il processo invece deve essere avviato.

R. – L’ambiguità non porta vantaggio a nessuno. Bisogna avere certezza sui prossimi passi. Mi pare però che ieri sia stato  deciso  che la procedura di avvio dell’uscita dall’Unione Europa del Regno Unito partirà ad ottobre con il premier inglese che verrà indicato dai conservatori entro il 2 settembre. A quel punto, poi, seguiranno  i negoziati per la procedura di uscita formale del Regno Unito dall’Unione Europa ai sensi dell’articolo 50, una procedura che può richiedere due anni di tempo prorogabili, la cui chiusura è poi nelle mani dell’Unione europea, non dello Stato che ha chiesto l’uscita.








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