2016-06-27 14:04:00

P. Spadaro: Armenia, tappa importante della diplomazia della misericordia


Ha seguito il viaggio in Armenia, al seguito del Papa, anche padre Antonio Spadaro, direttore della rivista dei Gesuiti “La Civiltà Cattolica”. Fabio Colagrande gli ha chiesto quali immagini lo abbiano più colpito:

R. – Le immagini sono tante. Un gesto molto importante è stato il momento di preghiera, silenzioso, all’interno del Memoriale del genocidio: ecco, quello è stato un momento senza parole, ma di una intensità straordinaria! Certamente mi ha molto colpito anche la piazza di Yerevan, piena di gente che ascoltava le parole del Catholicos e del Papa, e che durante l’intervento del Papa – un intervento radicalmente centrato sulla riconciliazione – ha applaudito tre volte.

D. – Il viaggio di Papa Francesco in Armenia è stato il viaggio di un Pontefice, il secondo, nel primo Paese cristiano della storia. Il Papa lo ha ribadito anche ieri in un tweet, alla fine di queste giornate: che significato ha avuto il viaggio da questo punto di vista?

R. – È stato un viaggio di memoria, dove però la memoria per Papa Francesco non significa solo ricordare i bei tempi andati o viceversa le tragedie e rimanere chiusi dentro questo clima di tragedia. Ha significato tornare alle radici spirituali di un popolo, che ha avuto dei grandi santi, grandi figure, come Gregorio di Narek; e questo appello alla radici è stato molto preciso da parte del Papa, che ha voluto anche ricordare dei passaggi di testi di questi grandi Padri, che erano un appello alla riconciliazione e alla pace. Ce n’è uno in particolare in cui si dice: “Signore, i nemici non sterminarli, ma trasformali”. Questo appello non alla violenza, ma alla trasformazione interiore, è stato l’appello forte di questo viaggio.

D. – Dal punto di vista ecumenico, è sembrato che il dialogo tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Apostolica armena sia sempre più forte; anche la convivenza sotto lo stesso tetto del Papa e di Karekin II lo ha confermato. Davvero una delle Chiese orientali che è più in sintonia con la Chiesa Cattolica…

R. – Sì e questo è stato – direi – evidente. Papa Francesco agisce come se si fosse già in comunione: c’è attesa e speranza, che puntano su tutto il positivo possibile. Stiamo vedendo che la funzione del Papato in questo momento è singolare: il Papato è sempre stato un motivo di divisione tra i cristiani. E in questo momento, vediamo che tutte le figure dei grandi leader religiosi cristiani amano dialogare con lui e vedono in lui un punto di unità. Quindi questo è un cammino tracciato. Ma c’è un secondo livello: Papa Francesco ha detto con chiarezza che l’ecumenismo non vale solo di per sé, ma vale anche per i suoi effetti e i suoi riflessi sulla società: se i cristiani sono uniti, questa diventa una testimonianza vivente perché i conflitti cessino.

D. – Lei una volta ha parlato di “geopolitica della misericordia”: questa tappa in Armenia cosa rappresenta?

R. – Rientra pienamente in questa logica diplomatica della misericordia. La “diplomazia della misericordia” significa che non bisogna mai dare niente per perso nei rapporti tra le persone, ma anche tra gli Stati, tra i popoli e le nazioni. Quindi significa in questo caso che non bisogna dare per perso il rapporto positivo tra turchi e armeni, ma tutta la Regione caucasica che sappiamo essere divisa da conflitti: anche l’Azerbaijan, che pure il Papa visiterà, è un altro momento e luogo di tensione con il Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaijan. Allora, significa  capire che in realtà nulla deve essere considerato per perso. Quindi, questo viaggio in Armenia è una tappa importante della “diplomazia della misericordia” che Papa Francesco ha inaugurato. 








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