Imponevano l’acquisto dei loro prodotti, pane compreso, a piccoli negozi e supermercati rionali, stabilendone anche il prezzo di vendita al dettaglio. Per questo, a Napoli, sono state emesse 24 ordinanze di custodia cautelare a carico di altrettanti uomini del clan camorristico Lo Russo, con accuse che vanno dall’associazione mafiosa, al traffico di stupefacenti, all’estorsione, alla detenzione di arma da fuoco. In Calabria intanto non si sono ancora placati entusiasmo e soddisfazione per l’arresto, ieri, del secondo latitante, ormai da 20 anni, dopo Matteo Messina Denaro. Il boss calabrese Ernesto Fazzalari, 46 anni, è stato catturato in provincia di Reggio Calabria dai carabinieri del Ros. Su Fazzalari pende un ergastolo per associazione per delinquere di tipo mafioso, omicidio, porto e detenzione illegale di armi ed altro. Francesca Sabatinelli ha intervistato don Pino De Masi, parroco di Polistena (Reggio Calabria) e responsabile regionale di ‘Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie’:
R. – Ieri mattina presto, ho telefonato al procuratore De Raho (procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho, ndr) dicendo: “Regalateci tante domeniche di queste! Tanti risvegli di questi!”. E’ stato un risveglio bello, quello di ieri mattina, e una domenica bella. Credo che l’arresto di ieri sia molto importante. Intanto, dimostra che questo territorio non è più territorio di ‘Ndrangheta, ma territorio occupato dalla 'Ndrangheta che la ‘Squadra Stato’ sta cercando di riprendere totalmente. La novità credo che stia proprio qui: in Provincia di Reggio Calabria esiste finalmente una ‘Squadra Stato’, composta dal prefetto, dai procuratori, dal questore e dal comandante provinciale dei Carabinieri e della Finanza. E questa ‘Squadra Stato’ ha vinto ieri.
D. – In questi 20 anni, comunque, Fazzalari è stato coperto, è stato aiutato, ci sono state delle connivenze fortissime, questo è un segnale negativo sul territorio…
R. – Sì, certamente, il fatto stesso che Fazzalari sia stato trovato a due passi da Taurianova (luogo di origine del boss, ndr) indica chiaramente che in questi anni ha potuto godere di tanti favori della gente del luogo. Questo è un dato di fatto. Ma io sottolineerei, con questo, l’altro dato di fatto: è stata un’operazione perfetta, che certamente è stata realizzata anche con la collaborazione di persone, collaborazione di gente del territorio.
D. – Questo è quello che ha messo in luce il procuratore De Raho…
R. – E questo mi sembra molto importante, no? Incomincia la reazione della società. Io credo che in questo momento la gente del nostro territorio abbia voglia di ripartire, lasciandosi alle spalle una storia negativa e quindi incomincia a collaborare. Credo che ci sia, però, anche un altro aspetto positivo in questo momento e cioè che anche nella stessa associazione ‘ndranghetista incominciano le defezioni, incominciano i collaboratori; anche le donne… Questo è un momento molto importante per la ’Ndrangheta calabrese, perché la collaborazione comincia ad essere una realtà: prima non avevamo collaborazione…
D. – Questo a cosa è dovuto, secondo lei? Dove è stata la chiave di volta?
R. – La chiave di volta è stata che la ‘Squadra Stato’ funziona. Se la repressione funziona, se la legge sui beni confiscati funziona, allora una mamma incomincia a riflettere e dice: “Ma io cosa lascio ai miei figli? Non lascio più ricchezza, non lascio consenso…” e questo perché la repressione e la confisca funzionano, allora vale proprio la pena farli incamminare sulla strada della delinquenza? Non vale più la pena! Quindi io credo che la vittoria dello Stato sia su due fronti: sul campo repressivo, ma anche sul campo del cambiamento reale grazie a quella legge della confisca dei beni.
D. – Non si può non citare anche la forte azione sul territorio della Chiesa…
R. – Certo! La Chiesa sta facendo il suo dovere sul fronte anzitutto della coscientizzazione e quindi dell’educazione delle coscienze, ma anche sul fronte di segni concreti. In questo territorio è nata la Cooperativa 'Valle del Marro–Libera Terra', anche per volere del vescovo di allora che si chiamava Luciano Bux; la mia parrocchia ha fatto del Palazzo Versace - segno del potere mafioso - il Centro polifunzionale padre Pino Puglisi, con tutta una serie di servizi, abitata da ragazzi e da gente di ogni tipo, ecco, questi sono segni concreti, espressione della Chiesa, che incoraggiano le persone a fare passi positivi e a lasciare la mentalità ‘ndranghetistica, ma anche la partecipazione attiva.
D. – Diciamo anche che si dovrà intervenire sulle cause che hanno alimentato il fenomeno criminale e quindi la povertà, la disoccupazione…
R. – Certo, certo. Assieme a questa presenza di Stato, di ‘Squadra Stato’, non può e non deve mancare la presenza dello stato sociale. Ricordiamo che questi territori sono territori in cui la gente manca dei diritti fondamentali: manca il diritto alla salute, manca il diritto al lavoro soprattutto, e spesso, manca il diritto all’istruzione. E allora, senza la tutela dei diritti, senza una presenza di stato sociale, non possiamo dire di poter sconfiggere le mafie. E’ un lavoro di rete, un lavoro di natura culturale, un lavoro di natura repressiva, un lavoro di natura sociale e di sviluppo sociale del territorio.
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