2016-06-23 14:59:00

Balcani: l'economia sociale in risposta alla crisi economica


L’economia sociale come risposta sostenibile ai gravi squilibri creati dalla crisi economica in sette paesi della regione del Sud Est Europa. E’ alla base del progetto “E.L.Ba. – Emergenza Lavoro nei Balcani”, avviato lo scorso anno da Serbia, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Macedonia, Montenegro, Albania e Grecia, finanziato da Caritas italiana, dalla Conferenza episcopale italiana, e di cui si è discusso in questi giorni a Pristina, in Kosovo. Sono 21 le imprese sociali supportate in tutto il sudest Europa, in grado di favorire l’occupazione, la crescita inclusiva, il rispetto dell’ambiente e una più equa distribuzione della ricchezza. Francesca Sabatinelli ha intervistato Laura Stopponi responsabile Ufficio Europa di Caritas italiana, presente a Pristina:

R. – Il punto cruciale è l’assenza di lavoro, con percentuali di disoccupazione che in Bosnia, ad esempio, vanno dal 36 al 50% e con picchi ancora più alti per i giovani. Questo è il dramma di questi Paesi ed è il tema che ci ha portato a cercare di portare avanti un progetto di sviluppo dell’economia sociale, come il progetto "E.L.Ba.",  proprio per creare lavoro, in modo particolare per le fasce più vulnerabili. La gente va via, emigra, con punte molto elevate, perché soprattutto i giovani non trovano lavoro.

D. – L’economia sociale come risposta, ma come si può applicare in questi Paesi? E’ di successo?

R. – Si sta iniziando, si sta iniziando a parlare di economia sociale. Si è cominciato a parlare di cosa vuole essere l’obiettivo dell’economia sociale: anzitutto un modello di sviluppo economico diverso, in cui le persone più deboli, più marginali, più vulnerabili, non sono lasciate fuori perché, appunto, marginali, ma vengono incluse in un concetto di economia diversa. Quindi, l’economia sociale vuole essere un ponte per portare valori diversi, in cui il bene comune sia al centro della nostra attenzione, in cui la coesione sociale e l’inclusione sociale siano alla base del nostro modello economico. Si sta iniziando a parlare anche con esperienze concrete, come l’aver finanziato 21 piccolissime attività economiche il cui l’obiettivo non era il solo profitto, ma l’inclusione sociale, l’inclusione di persone che altrimenti non avrebbero trovato lavoro altrove. Produrre profitto affinché questo profitto possa essere poi riutilizzato per il bene comune, per il bene della comunità, per il bene di queste imprese, è un concetto nuovo sul quale stiamo lavorando, a partire anche dal fatto che molti di questi Paesi stanno riscrivendo la legge del terzo settore, la legge sul tema delle relazioni con il mondo no-profit. E proprio in questi giorni, in Kosovo in modo particolare, si sta scrivendo la prima legge. Quindi, il poter portare anche concetti nuovi all’interno di queste economie è per noi molto, molto, importante e questo proprio per la costruzione del bene comune.

D. – Possiamo entrare proprio nello specifico e spiegare in che modo si è applicato questo nuovo modello economico che non mette da parte gli esclusi, ma li include come risorse del territorio?

R. – Anzitutto, non dobbiamo dimenticare che comunque alla base di tutto ci devono essere delle realtà che producono dei beni e che producono anche un profitto. Quindi, non soltanto mettere insieme persone che sono in difficoltà per produrre dei beni che rimangono poi all’interno di queste piccole associazioni e cooperative, ma avere una attenzione a quello che può significare produrre un bene e quindi la sostenibilità di una impresa che nasce affinché rimanga e diventi un agente di sviluppo sul territorio. Questo però a delle condizioni: l’utilizzazione degli utili, affinché questa piccola impresa possa migliorare e quindi accrescere la propria capacità produttiva, avendo allo stesso tempo attenzione a includere all’interno di queste realtà persone che abbiano delle difficoltà. Queste 21 imprese producono servizi, dalla lavanderia alla tipografia, alla serra, in cui si dà un servizio, quindi si lavano i panni, si stampano dei documenti, ma all’interno di queste attività ci sono delle persone in difficoltà e parte degli utili vengono poi dati alle realtà che le assistono.








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