2016-06-12 11:04:00

Brexit: mercati in negativo. Becchetti: volatilità è fisiologica


Il rischio Brexit spaventa i mercati e i governi europei. Le borse hanno chiuso la settimana in negativo e il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha avvertito che Londra non avrà più accesso al mercato unico europeo se il 23 giugno vinceranno i ‘sì’ all’uscita della Gran Bretagna dall’Ue. Ad agitare i fantasmi delle ripercussioni economiche sono stati i risultati di un sondaggio pubblicato dal quotidiano "The Independent" che, per la prima volta dall’inizio della campagna referendaria, vede gli euroscettici al 55%, in vantaggio di ben 10 punti sui pro-Ue. Torna a far sentire la propria voce il premier David Cameron che mette in guardia sui rischi di una nuova austerity e cita argomenti cari agli inglesi come il servizio sanitario, la casa e le pensioni: "Se voterete 'Remain' - è il suo appello - avrete un Paese stabile e certezze per la vostra vita". Marco Guerra ha parlato degli impatti di un’eventuale uscita del Regno Unito dall’Ue con Leonardo Becchetti, professore di Economia politica dell’Università di Tor Vergata:

R. – Bisogna stare attenti ad interpretare le reazioni giornaliere delle Borse, applicando esattamente un’informazione o l’altra; altrimenti, in tutti questi giorni fino al referendum penseremo che sia sempre la Brexit ad impattare sui listini: i listini salgono e scendono per motivi di volatilità fisiologica. Direi che comunque l’aspettativa degli impatti della Brexit è più che altro legata a quello che succederebbe nel Regno Unito. In Europa gli effetti dovrebbero essere piuttosto piccoli e comunque un listino potrebbe reagire solamente se ci fossero dei cambiamenti forti nei sondaggi.

D. – C’è l’appello di alcuni ricercatori britannici che chiedono di non uscire dall’Europa, mentre alcuni imprenditori dicono anche non ci sarebbero problemi. Insomma, qual è l’umore in Inghilterra e quali le speranze?

R. – Chiaramente, ognuno parla dal suo punto di vista e riguardo al proprio interesse. Ci potrebbe essere un effetto negativo per quanto concerne i finanziamenti europei alla ricerca: questo è quello che temono i ricercatori. Dal punto di vista dell’economia, un altro rischio è che Londa perda terreno come piazza finanziaria principale. Forse la conseguenza più prevedibile di tutte è proprio che la perdita di terreno come piazza finanziaria potrebbe risultare in un’uscita di capitali e quindi nella svalutazione della sterlina; questo però, a sua volta, potrebbe non avere effetti negativi sull’economia reale.

D. – Se sarà Brexit, Londra non avrà più accesso al mercato unico europeo: lo ha detto il ministro delle Finanze tedesco, Schäuble. Che peso ha questo monito e perché il ministro ha lanciato tale avviso?

R. – Questo fa parte delle schermaglie 'ex ante': potrebbe essere anche un modo per cercare di condizionare il voto. Quello che succederà dopo sarà tutta un’altra storia. Bisognerà vedere, una volta che il fatto eventualmente accada, quali saranno a quel punto le convenienze da parte di entrambe le controparti dal punto di vista commerciale e finanziario.

D. – Veramente una Gran Bretagna senza il mercato unico avrebbe seri problemi economici?

R. – Qualche contraccolpo negativo ci potrebbe essere, anche se è molto difficile calcolarlo; e ciò anche perché non sappiamo quale sarà l’assetto 'ex post': ossia quanto l’Unione Europea punirà la Gran Bretagna dal punto di vista degli accordi commerciali.

D. – Sempre Schäuble conclude affermando: “Ci stiamo preparando a tutti gli scenari per limitare i rischi”. Per l’Europa quali contraccolpi?

R. – Direi che l’impatto è soprattutto politico e simbolico. Diventa possibile l’uscita di Paesi dall’Unione Europea e questo potrebbe ovviamente rinforzare gli schieramenti euroscettici e il desiderio di alcuni Paesi di uscire dall’Eurozona. Questo è un po’ il vero pericolo che – secondo me – si paventa; anche se poi non stiamo parlando della stessa cosa, perché il Regno Unito ha la propria valuta che è la sterlina.  

D. – Quindi c’è anche un contraccolpo psicologico e politico su questo referendum, oltre che economico…

R. – Senz’altro, perché - come ricordiamo - c’è stata già una gravissima crisi; e in quel momento il Paese più in difficoltà, la Grecia, ha deciso assolutamente di restare nell’Unione Europea. E quindi in un certo senso ha segnato un punto a favore della necessità e della convenienza dell’integrazione. Oggi potrebbe succedere un evento di segno contrario; e questo potrebbe far dire agli euroscettici che, in fondo, uscire dall’Unione europea non è una tragedia.

D. – A prescindere dal risultato, insistere con più integrazione e più Europa pone quantomeno delle riflessioni riguardo alle 'ricette' che sono state usate finora per non alimentare i populismi…

R. – Lo diciamo da tanto tempo: l’Europa fondamentalmente, dopo il 2007, ha sbagliato tutte le 'ricette'. Se l’Europa mette insieme le risorse e “l’unione fa la forza”, va bene; ma se invece l’Europa è “ognuno ce la faccia da solo e, se non ce la fa, allora no”, questa non è Europa. E io credo quindi che prima di tutto è l’Europa che deve cambiare linea politica. E le ricette sono già tutte sul tavolo. Dalla politica monetaria espansiva, che per fortuna è partita anche se con un ritardo di sette anni, fino soprattutto alle politiche fiscali. E deve anche avere una maggiore capacità di comunicare sé stessa all’opinione pubblica, che in questo momento non c’è.








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