2016-06-10 14:20:00

Terra Santa. P. Khader: serve una pace giusta, non restrizioni


La tensione è alta a Gerusalemme dove decine di migliaia di palestinesi sono attesi sulla Spianata delle Moschee per la preghiera nel primo venerdì di Ramadan. Infatti a due giorni dall’attentato a Tel Aviv con 4 morti per mano di giovani della Cisgiordania il governo di Netanyahu ha ristretto al massimo gli ingressi e ha disposto un nuovo spiegamento militare nei territori. “Questi momenti così difficili rendono ancor più chiara la necessità di una pace giusta: noi cristiani lavoriamo per educare a questo”. Così in sintesi il rettore del Seminario patriarcale di Gerusalemme padre Jamal Khader. L’intervista è di Gabriella Ceraso:

R. – Viviamo questi momenti di crisi e questo è un richiamo al fatto che questa non è una situazione normale, è un richiamo alla giustizia, giustizia per tutti. Ecco quello che fa la Chiesa qui, il lavoro dei cristiani. La pace non è l’assenza della guerra, ma la giustizia, e qui c’è un blocco. E con la situazione politica attuale, non vediamo la fine di questa situazione, non vediamo via d’uscita, non riusciamo a immaginare una situazione di pace e non vediamo la pace nel nostro futuro.

D. – Padre, che cosa significa per la gente quando scattano blocchi a causa di violenze o a causa di attentati?

R. – Questo praticamente vuol dire un disturbo della vita normale, del lavoro quotidiano, degli spostamenti e soprattutto per l’economia. Sono in migliaia le persone che si spostano a Gerusalemme per lavoro, e se non possono lavorare si creano ancora maggiori difficoltà sociali ed economiche qui, nei territori palestinesi. Durante la Settimana Santa succede la stessa cosa ai cristiani, che hanno sempre bisogno di permessi da parte delle autorità israeliane e questo fa sì che non sia facile arrivare a Gerusalemme. Gerusalemme è il centro spirituale sia per i musulmani, sia per i cristiani sia per gli ebrei, e quando non possiamo arrivare a Gerusalemme, questo danneggia la nostra libertà di culto. Per noi è molto importante avere questa libertà.

D. – Vede in qualcosa, nelle persone, in qualche spunto, una speranza?

R. – Partendo dalla nostra fede, sì, perché crediamo in un Dio giusto verso tutti, un Dio Padre, crediamo nella resurrezione … Ma come possiamo praticare questa speranza nella vita quotidiana? La via d’uscita dovrebbe essere chiara per tutti: iniziare un vero processo di pace, smettere di costruire nuove colonie israeliane,è questo che porterà un cambiamento sul terreno e darà alla gente maggiore speranza nella riconciliazione, soprattutto ai giovani.

D. – Lei è anche docente all’Università di Betlemme; spesso parla del ruolo dei cristiani, lì. E’ difficile essere cristiano in Terra Santa?

R. – Certo che è difficile, ma siamo chiamati a vivere qui, in questa terra, con tutte le difficoltà, per portare la luce, la luce di Cristo in una situazione difficile e dare la speranza. E questa è l’opera quotidiana della Chiesa, soprattutto nell’educazione, nelle università … ma è il nostro compito, quello di portare alla gente la speranza che la riconciliazione è possibile, che la giustizia è possibile, che Dio è padre di tutti, ama tutti e vuole che tutti i suoi figli vivano in pace insieme.

D. – Che non siano, appunto, parole ma anche testimonianza con la propria vita, con i fatti, vero?

R. – E’ il lavoro della Chiesa, il lavoro quotidiano. Ecco perché abbiamo decine di scuole, abbiamo le università, abbiamo centri per i più deboli nella società… E questo ruolo, tra l’altro, è apprezzato: apprezzato da molti perchè vedono che la Chiesa e i cristiani possono portare qualcosa di nuovo e di molto importante per il futuro di questo Paese.








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