2016-06-07 15:08:00

Sergio Mattarella al 199.mo della Polizia penitenziaria


Occorre un "profondo rinnovamento del modello di detenzione" che sappia "garantire la sicurezza della comunità" e nello stesso tempo consentire “opportunità di istruzione e di lavoro ai detenuti” in vista del recupero e dell'integrazione. Lo scrive il presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, nel messaggio inviato al capo del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, Santi Consolo, in occasione del 199.mo anniversario del Corpo. Mattarella esprime inoltre gratitudine agli agenti impegnati quotidianamente nella delicata funzione dell'applicazione delle misure di giustizia che, sottolinea, devono corrispondere al senso di umanità. Adriana Masotti ha sentito Leo Beneduci, segretario generale del sindacato autonomo di polizia penitenziaria Osapp:

R. – Guardi, se oggi il sistema penitenziario funziona, riesce a garantire un minimo di rispetto delle leggi e nello stesso tempo condizioni di vita non ottimali probabilmente, ma comunque tali da poter continuare ad esserci questo sistema, è grazie alla polizia penitenziaria. I poliziotti penitenziari sono l’87% dei dipendenti dell’amministrazione e il poliziotto penitenziario, in carcere, poi è quello che fa tutto. A parte la sicurezza, la sorveglianza… non dimentichiamo che il carcere serve come emenda ma soprattutto perché il cittadino rientri nella società civile, una volta che abbia scontato la pena, recuperato al vivere sociale. Ed è la polizia penitenziaria, il poliziotto penitenziario che 24 ore su 24 sta a contatto con i detenuti. Ovviamente, le tipologie della popolazione detenuta sono varie e c’è da dire che rispetto a non troppi anni fa – due anni fa – quando i detenuti erano 67 mila per più o meno 46 mila posti, oggi la situazione è di molto migliorata. Ovviamente, non esiste un rapporto uno a uno, cioè un poliziotto-un detenuto, tanto spesso capita che ci sia un solo agente per 50, 100 detenuti. E purtroppo, l’età media del poliziotto penitenziario – in carenza di assunzioni per le varie leggi sul blocco del pubblico impiego – è aumentata: oggi l’età media del poliziotto penitenziario comincia ad essere sui 46-47 anni.

D. – Un tempo si chiamavano “agenti di custodia”, che però è limitativo rispetto alla loro funzione…

R. – La polizia penitenziaria è stata istituita dal disciolto corpo degli “agenti di custodia” con legge del 1990. Quindi, sono propri compiti della polizia penitenziaria, istituzionalmente, il mantenimento dell’ordine e della sicurezza ma anche la partecipazione a quelle attività che sono legate all’osservazione del detenuto per individuare poi gli interventi che vanno compiuti per garantire la socializzazione. Quindi, c’è un gruppo di lavoro che si riunisce e che stabilisce questo trattamento. Dovrebbe essere individuale, ovviamente, ma questo nelle attuali carceri non è molto possibile. Le forme del trattamento possono riguardare i rapporti familiari, la cultura, lo sport, il lavoro e così via. La polizia penitenziaria partecipa a questo tipo di attività insieme ad altre figure che sono l’educatore, il direttore ecc. Tant’è che noi diciamo che la polizia penitenziaria è l’unico corpo di polizia che però ha questa preminente funzione di socializzante che è legata al trattamento rieducativo, alla risocializzazione dei detenuti. E chiaramente è una funzione amplissima, ma spesso mancano le risorse anche economiche per far fronte alle attività, alle esigenze della popolazione detenuta e anche del personale.

D. – Purtroppo, ci sono dei suicidi tra i detenuti ma anche, capita, tra gli agenti…

R. – Noi abbiamo stimato che tra i detenuti vi era una media di suicidi – tenga presente che se si suicida un detenuto, almeno altri venti sono salvati dall’intervento della polizia penitenziaria, quando c’è – comunque, l’anno scorso la media era venti volte superiore alla normale popolazione e tra i poliziotti penitenziari sette volte in più. Per quanto riguarda i poliziotti penitenziari, noi – come sindacato, come Osapp – abbiamo sempre cercato di dire che non è il carcere di per sé che spinge al suicidio il poliziotto penitenziario, cioè non è il lavoro all’interno del carcere. Ma sicuramente, se già sussistono cause esterne di vario tipo, quelle che normalmente accadono a qualsiasi persona, poi lavorare in un carcere che depersonalizza tantissimo – perchè molto spesso anche il poliziotto penitenziario in carcere è un numero, non viene troppo coinvolto, nonostante l’importante attività che svolge – lavorare in carcere non aiuta a superare questo tipo di problemi. Da ciò, questa percentuale alta di suicidi che però, almeno per l’anno in corso, noi notiamo essere diminuito, sia nella popolazione detenuta, per un intervento costante, direi anche per un grande lavoro che è stato fatto quest’anno, e per la diminuita promiscuità, è diminuita anche nel personale: forse perché c’è più coinvolgimento. In prospettiva esiste sempre la volontà di riqualificare anche professionalmente la polizia penitenziaria, anche rispetto alla funzione rieducativa di socialità. Quindi da una parte, si chiede una maggior attinenza e appartenenza alle forze di polizia, anche come ruoli, come carriera. Dall’altra parte, di potenziare questa funzione di socialità. Non dimentichiamo – e concludo – che si lavora per migliorare il carcere, perché ce ne sia sempre di meno, di carcere: non perché ce ne sia di più.








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