2016-06-07 18:04:00

Lina Evangelista e il perdono degli assassini di suo marito


Lina Evangelista ripercorre la vicenda di suo marito Francesco, poliziotto ucciso nel maggio 1980 davanti al Liceo romano Giulio Cesare da un agguato dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Dolore e rabbia. Poi, perdono. "Eravamo sposati da otto anni. Dopo la tragica morte ebbi molta solidarietà da tante persone: quartiere, parrocchia, giornalisti. In quello stesso giorno trovava la morte anche Walter Tobagi. Non sapevo come dirlo ai figli. Per molti anni il maschio rifiutò di accettare che suo papà non c’era più. Ora sia lui che mia figlia sono in Polizia. Mio marito - ricorda - aveva tanta determinazione, cordialità e capacità di fare amicizia con tutti. Aveva il pallino del poliziotto di quartiere e quando non era in servizio in fondo faceva proprio questo, era punto di riferimento per tanti negozianti, per esempio. Era rimasto solo quando aveva due anni, perse il papà. Aveva doti spiccate per il suo lavoro. Per lui contavano il lavoro e la famiglia". 

La condanna dei carnefici non pacifica il cuore

"Una volta saputo degli arresti e della condanna - riprende la signora Lina - pensavo che il mio accanimento a tenermi informata ogni giorno sui giornali sarebbe finito e che avrei potuto avere un po’ di pace. Invece no. La rabbia non passava. Se andavo al parco, come era d'abitudine fare con mio marito quando era libero, e vedevo che mio figlio si fissava a guardare un suo pari mentre giocava con suo papà, provavo una stretta al cuore troppo forte. Ho passato sei, sette anni di apatia, di deserto totale. Per giunta ero tormentata dal fatto che, pur essendo cattolica praticante, non riuscivo a perdonare. Ero ammirata invece dalla famiglia Bachelet (Vittorio era finito ucciso dalle Br nel febbraio dello stesso 1980): loro erano stati capaci subito di perdonare". 

Il perdono non viene da noi stessi

"Il mio parroco mi diceva di avere fiducia che il Signore mi avrebbe ascoltato. Poi feci un viaggio in Terrasanta desiderando che Dio mi desse un po’ di sollievo. Mesi dopo, alla seconda udienza del processo - si stava avvicinando la Pasqua - non conoscevo gli assassini e quando mi trovai in quell’aula sentìi una serenità che non avevo provato ormai da tanto tempo e che riconoscevo non venire da me. Io ho pregato per quelle persone e le perdonavo". E ricorda che quando in pellegrinaggio arrivò al Santo Sepolcro ebbe una crisi di pianto forte. Dopo qualche tempo padre Adolfo Bachelet SJ - fratello di Vittorio, che molto si spendeva per portare cammini di riconciliazione nelle carceri - portò una lettera alla Evangelista. Era di uno dei N.A.R. che, pur non avendo preso parte direttamente all’omicidio del marito, le scriveva che ne sentiva la responsabilità e il peso. "Ci incontrammo e iniziò una corrispondenza. Nessuno dimentica, neppure io ho dimenticato. Ma si può cambiare". 

Per-dono

Il perdono è un dono. Il beneficio è sia per chi lo dà che per chi lo riceve. Dà modo di aprirti. Io so che loro sono cambiati, che più di uno di loro si è riavvicinato alla fede, per esempio. E’ tanto. Questa è la meraviglia che ti offre il Signore. So che anche le loro famiglie hanno sofferto molto". Lina è grata al gruppo messo su da padre Guido Bertagna SJ sulla giustizia riparativa e che lei ha avuto modo di frequentare: "Mi aiutato molto", dice e accenna alla storia della famiglia Moro: "Sentire la figlia Agnese, o quella di Giovanni Ricci (il padre faceva parte della scorta di Moro), mi ha aiutato". E conclude auspicando un lavoro più intensivo in questa direzione nelle scuole. "Basta poco per infiammare negativamente gli animi di alcuni giovaniQuest’anno di Misericordia è una cosa bellissima per tutti, principalmente per chi sta nel dubbio che il Signore ci possa perdonare".








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