2016-06-06 13:21:00

Tensioni Usa-Cina per rivendicazioni territoriali Pechino


Le tensioni per le rivendicazioni di Pechino sul Mar Cinese Meridionale stanno facendo da sfondo all’ottavo dialogo strategico ed economico in corso tra Stati Uniti e Cina. I lavori, fino a domani nella capitale della Repubblica popolare, riguardano le sfide e le opportunità negli interessi bilaterali, regionali e globali. “Rafforzare la fiducia reciproca” è stata la raccomandazione del presidente cinese Xi Jinping. Il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha auspicato una “soluzione diplomatica” al contenzioso sul Mar Cinese Meridionale, dopo che il ministro della Difesa di Washington, Ashton Carter, aveva affermato che le attività di costruzione avviate dalla Cina nella acque contese potrebbero comportare “un'azione” da parte degli Usa e di altri Paesi. Nello specifico, di quali dispute si tratta? Risponde il sinologo Romeo Orlandi, vice presidente dell’Osservatorio Asia, intervistato da Giada Aquilino:

R. – Si tratta di rivendicazioni di isolotti contesi, ma fino a poco tempo fa trascurati, che danno accesso e proprietà – secondo il diritto del mare – ad uno sconfinamento territoriale enorme della Cina, che estenderebbe così i propri confini molto a meridione, praticamente sulle coste del Borneo e quindi addirittura fino all’Indonesia, interessando le acque ora internazionali, ma che sono rivendicate anche da Filippine, Vietnam, Taiwan e in parte pure dal Giappone. Si tratta di un allungamento dei confini della Cina che rivendica alcuni diritti storici, ovviamente contestati dagli altri Paesi, e questo perché l’economia l’ha ormai resa talmente forte da poter tirare fuori l’orgoglio nazionalista che era stato sopito per decenni.

D. – Tra le isole contese ci sono anche le Senkaku/Diaoyu, che sorgono a Nord di Taiwan. Perché sono così cruciali?

R. – Anzitutto per una questione territoriale. Poi perché lì passano i rifornimenti di petrolio che vanno al Giappone e alla Corea, oltre che alla Cina. Ma si tratta anche di una rivendicazione simbolica. Però non sono tanto quelle isole a determinare tensione – se non con il Giappone – quanto quelle più meridionali e molto più lontane dalle coste della Cina: lì, oltre che l’allargamento territoriale e marittimo, si controllano anche le rotte del petrolio che risalgono dallo Stretto di Malacca e riforniscono le economie industrializzate del Nord-Est asiatico, quindi il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan e la Cina stessa.

D. – Pechino ha recentemente istituito una zona di identificazione aerea sul Mar Cinese Orientale, provocando le ire del Giappone e della Corea del Sud. Se lo facesse anche sul Mar Cinese Meridionale cosa accadrebbe?

R. – Ci sarebbero conseguenze. Ritengo non possano essere drammatiche, ma sicuramente proteste, perché lì è in discussione quella che noi chiamiamo la “pax americana”: il dominio cioè dei traffici del Pacifico sotto il controllo statunitense. Dopo la Seconda Guerra Mondiale nessuno è stato mai in grado, neanche nei momenti più duri della Guerra Fredda e della Guerra del Vietnam, di contestarlo. Ora la Cina allunga i propri muscoli da quella parte ed è chiaro che una cosa del genere provochi tensioni. I Paesi più preoccupati sono ovviamente il Giappone, per l’animosità storica tra i due Paesi, e gli Stati Uniti, che vedono messo a repentaglio tale dominio. Anche i Paesi dell’Asean, cioè i dieci Paesi del Sud-Est asiatico, sono allarmati dall’espansionismo di Pechino, ma vivono una situazione di grande dilemma: perché la loro protezione politica e militare è garantita dagli Stati Uniti, però devono – quasi tutti – la loro crescita economica a rapporti pacifici, produttivi e redditizi con Pechino.

D. – Di fatto potrebbe esserci una reazione da parte degli Stati Uniti e di altri Paesi, come è stato paventato proprio al vertice di Pechino?

R. – Sulla carta è una opzione possibile. Speriamo che nessuno abbia la tentazione di mettere il dito sul grilletto. Però gli appelli che tutto si risolva, che tutto sarà facile perché in fondo si tratta di scaramucce, talvolta sembrano più ottimisti: la realtà è veramente complessa e potrebbe preludere a qualcosa di più grave.








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