2016-06-06 12:13:00

Astensionismo e voto dei cattolici. Con noi Lopresti e Bonini


Significativo il dato dell’astensionismo aumentato del 5% ovunque ad eccezione di Roma dove l’affluenza ha registrato un +3%. Al microfono di Luca Collodi il Rettore della Università Lumsa di Roma, Francesco Bonini e il politologo Alberto Lopresti, docente di Storia delle dottrine politiche all’Università Sophia di Loppiano, intervistato da Paolo Ondarza.

R. – L’esito elettorale dimostra intanto che non ce la facciamo a diventare un sistema bipolare: questo astensionismo significativo, e anche il voto di protesta più volte espresso, dicono che ci troviamo di fronte ad una disaffezione che va guarita. Bisognerebbe ragionare anche sulle traiettorie che hanno compiuto negli ultimi anni alcuni partiti politici attorno alla propria leadership, al consolidamento della propria classe dirigente.

D. – Lopresti, Nello specifico, a Roma è clamoroso il risultato del Movimento 5 Stelle, che con Virginia Raggi diventa il primo partito. Sempre nella capitale raddoppia Fratelli d’Italia, ma la Meloni non ce la fa, e la sfida sarà con Giachetti del Pd. È stata punita dagli elettori la politica tradizionale? Nella capitale è stata bocciata anche la mancanza di coesione, all’esempio all’interno del centrodestra?

R. – Il voto della capitale è sintomatico. Da una parte, abbiamo l’infelice conclusione del breve governo Marino, che sicuramente ha destabilizzato gli elettori della compagine di sinistra; dall’altra, abbiamo il Movimento 5 Stelle che ha azzeccato la scelta. Rimane il fatto che Berlusconi è stato ondivago tra Bertolaso e Marchini. Credo che il Movimento 5 Stelle abbia vinto, ma non abbia sfondato, se andiamo a vedere, proporzionalmente rispetto al dato per cui il 60% degli elettori è andato realmente a votare. E in più vorrei sapere che cosa succederà al ballottaggio, perché quello è il momento in cui si devono raccogliere i voti degli altri. E forse, rifiutare ogni alleanza, mostrare ostilità rispetto ai meccanismi della politica ai quali adesso bisognerà invece rivolgersi per poter avere consenso e superare il 50%: insomma, forse questa del Movimento 5 Stelle può essere una scelta che non si rivelerà come quella giusta. Roma è una partita che credo sarà ancora da giocare.

D. – Che cosa dice questo primo turno rispetto al futuro politico italiano, e anche su un eventuale giudizio degli elettori in merito all’operato del governo Renzi?

R. – Se andiamo a guardare l’alternanza delle elezioni politiche e di quelle amministrative negli ultimi 25 anni, abbiamo quasi sempre ottenuto il risultato per cui la formazione vittoriosa alle politiche ha poi perso in tornate elettorali differenti. Il discorso è che naturalmente qui, al di là del destino delle grandi città, molti si recano al voto dando un giudizio sul governo. Il Pd ne esce sicuramente ridimensionato. Credo comunque che davvero il referendum di ottobre sarà il vero banco di prova.

D. – Flop o risultato positivo quell’1% a livello nazionale ottenuto dal neonato “Popolo della Famiglia”?

R. – Se si tratta di considerare la rappresentanza del popolo delle famiglie, che è assai numeroso in Italia, l’1% mi sembra davvero insufficiente. Io non so se il “Popolo della Famiglia” debba diventare una forza politica; mi piacerebbe che le famiglie fossero rappresentate in tutte le formazioni politiche, perché sono un’autentica risorsa sociale.

D. – Lopresti, perché c’è stata poca rappresentanza in queste ultime elezioni, rispetto ai temi della famiglia?

R. – Assolutamente sì. Io credo che dare voce alle famiglie non significhi semplicemente avere delle opzioni politiche, di destra o di sinistra; ma significhi invece far ripartire la nostra società da quanto vi è di sicuro: il fatto che il primo nucleo di socialità che addestra i cittadini, li protegge, li porta alla vita adulta, gli fa fare cittadinanza attiva, e dove si vive il legame tra le generazioni, è la famiglia. E non comprendo come la forze politiche non possano riscoprire questo elementare dato sociale. 

 

Per una riflessione generale sul voto, Luca Collodi ha intervistato il politologo Francesco Bonini, rettore della Università Lumsa di Roma:

R. – La partecipazione al voto non è stata incoraggiata: la scelta della data delle elezioni era fatta apposta per far diminuire la partecipazione. Quindi, non mi rallegro di questo dato. Il trend è quello di una partecipazione decrescente, e questo non è un dato positivo.

D. – Professor Bonini, il voto sembra confermare la crisi dei partiti tradizionali…

R. – C’è voglia di protestare, di opposizione; c’è un malessere diffuso che non è ancora in grado di articolarsi. Anche i sistemi bipolari o bipolarizzati sono tutti in crisi in Europa, perché c’è un senso di malessere e una frammentazione. Credo che dobbiamo veramente – responsabilmente – interrogarci su che cosa fare in positivo. Sono dei risultati che, secondo me, fotografano molto bene un Paese perplesso.

D. – C’è voglia di alternativa politica a partire dalle periferie delle grandi città?

 R. – Il problema esiste: se in una città come Roma, in cui vota poco più del 60% degli elettori e la forza politica di governo del Paese ottiene un quarto di questi voti – cioè un quarto del 60% – insomma, queste sono questioni su cui dobbiamo interrogarci. Questa “coriandolizzazione” – dieci liste per candidato nelle grandi città – è un segno che le cose non funzionano.

D. –Cambia anche il voto dei credenti?

R. – I cattolici – secondo me – hanno delle nuove responsabilità proprio per riarticolare un’amicizia sociale: cosa che non hanno messo all’ordine del giorno. Ancora si attardano a fare il tifo per quello o quell’altro, nell’ambito di un bipolarismo che non esiste più. Bisogna rimboccarsi le maniche e ricostruire questi legami.

D. – Bonini, tramonta il bipolarismo tradizionale ?

R. – Il bipolarismo tradizionale, in realtà, è esistito soltanto a tratti. Adesso c’è qualcosa di diverso: non a caso il presidente del Consiglio in queste elezioni amministrative non è intervenuto, se non in extremis, a Roma e Milano. Si va verso un referendum costituzionale che vuol essere una sorta di plebiscito, ma il punto vero è ricostruire la relazione. Tuttavia, ricostruire una relazione è una cosa molto difficile: richiede investimenti ed esempi concreti.

D. – Cosa suggerisce questo voto ai credenti impegnati nel sociale?

R. – Di lavorare sul medio periodo nella società concreta per dare delle prospettive. Il voto di questi giorni, la protesta di cui si capiscono le radici, trasmettono essenzialmente questo messaggio: un bisogno di prospettive. E i cattolici devono tornare ad investire.

D. – Bonini, quanto pesa sulle amministrative la protesta e l’indifferenza?

 R. – La protesta e l’indifferenza sono gli ingredienti del momento di oggi, del momento contemporaneo. Occorre dare delle risposte.

D. – Si può ancora parlare di populismo?

R. – Il populismo è una categoria scientifica molto nebulosa che, utilizzata nel dibattito politico, dice ben poco.

D. – Il voto italiano, la Brexit, gli Stati europei che eleggono candidati antisistema: quanto potrà reggere l’Unione Europea?

R. – Poniamoci questa questione. Perché le buone risposte vengono quando si pongono le buone domande. E riflettiamo.








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