2016-06-02 12:35:00

Somalia: concluso attacco Shabaab a Mogadiscio, 16 vittime


Si è concluso con un bilancio di 16 vittime e 55 feriti l’attacco di un commando al Shabaab all'hotel Ambassador di Mogadiscio, in Somalia. La risposta delle forze dell’ordine si è protratta per tutta la notte. Il servizio di Giada Aquilino:

Un attacco ben pianificato: prima un’autobomba, poi un commando di cinque uomini armati che ha fatto irruzione nell'hotel. A rivendicare l’attentato, gli estremisti di Shabaab, a poche ore dall’annuncio del Pentagono di un raid aereo che avrebbe ucciso proprio in Somalia Mohamed Mohamud, noto anche con il nome di "Kuno", uno dei più influenti comandanti Shabaab, responsabile tra l’altro del sanguinoso attacco all'università di Garissa, in Kenya. All’Ambassador, dopo una notte di scontri a fuoco, le forze di sicurezza hanno annientato l’intero commando, riprendendo il controllo dell’edificio. Tra le vittime, anche due deputati. La missione di assistenza delle Nazioni Unite in Somalia – l’Unsom, che si aggiunge alla forza dell’Unione Africana, l’Amisom, operativa con 22 mila uomini – ha condannato "con fermezza" l’attacco. Un ennesimo episodio di violenza che sconvolge un Paese già afflitto da anni di insicurezza e attentati, come conferma mons. Giorgio Bertin, vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio:

R. – La presenza di questi gruppi violenti, come al Shabaab, significa che non siamo ancora riusciti a riportare la Somalia a una situazione di stabilità politica e di sicurezza. Questo attacco ci dice come le istituzioni, che sono state create qualche anno fa, rimangano ancora molto fragili e l’impegno della comunità internazionale debba continuare, rafforzarsi, probabilmente essere più serio e più determinato.

D. – A cosa puntano gli al Shabaab?

R. – Gli al Shabaab, come anche altri gruppi islamisti radicali, punterebbero, se potessero, a prendere in mano il potere. Ma credo che non si accontenterebbero della Somalia. La Somalia potrebbe essere per loro il trampolino di lancio per il resto dell’Africa dell’est, nel continente.

D. – La popolazione come vive questo continuo stato di insicurezza? Ricordiamo caos e guerra civile dopo la caduta di Siad Barre, poi le Corti islamiche, quindi gli al Shabaab alleati di al Qaeda…

R. – Penso che la maggioranza della popolazione viva con un senso di rassegnazione, perché si trova di fatto ostaggio di questi gruppi violenti, di un insieme di funzionari, di commercianti che non hanno interesse che la Somalia torni a vivere una vita normale. E penso anche a una certa implicazione da parte di alcuni gruppi o di alcuni Stati della comunità internazionale, ai quali una “vera” Somalia non farebbe piacere.

D. – Quindi, ci sono forze dall’estero che in qualche modo interferiscono in Somalia?

R. – Certamente. Per esempio, le armi continuano ad arrivare facilmente. Vuol dire, allora, che a livello internazionale non siamo sufficientemente seri nel sapere da dove vengono, chi le produce, chi le commercia.

Sulle ragioni dell’ultima azione degli al Shabaab, l’africanista Vincenzo Giardina:

R. – Attacchi a hotel nel cuore di Mogadiscio c’erano già stati in Somalia, anche dopo la costituzione di un governo di transizione, con un pieno sostegno delle Nazioni Unite e delle principali potenze occidentali. E anche a seguito del ritiro di al-Shabaab dalla capitale, nel 2011, per un’offensiva coordinata da Amisom, la forza dell’Unione Africana, che sostiene il governo di Mogadiscio contro questo gruppo di matrice islamista.

D. – In Somalia, c’è la forza dell’Unione Africana, l’Amisom appunto, e c’è anche una missione di assistenza dell’Onu. Ma a che punto è il contrasto agli al Shabaab?

R. – L’impegno contro al Shabaab non è concluso assolutamente. Nei giorni scorsi, il presidente della Somalia, Hassan Sheikh Mohamud, ha emesso un decreto per superare l’opposizione del parlamento rispetto alle modalità con le quali si dovranno svolgere, nell’agosto prossimo, le nuove elezioni nel Paese. Questo a conferma di come, anche su un piano politico, restino diversi nodi da sciogliere e come, nonostante ci sia un sostegno dell’Onu, rispetto alla scadenza elettorale di agosto, esponenti stessi delle Nazioni Unite abbiano sottolineato come il voto non potrà che svolgersi in una situazione estremamente precaria, anche da un punto di vista della sicurezza.

D. – L’avvicinarsi del voto, il recente raid aereo che avrebbe ucciso uno dei comandanti al Shabaab, l’approssimarsi del Ramadan: quali di queste potrebbero essere le ragioni di tanta violenza?

R. – Ci sono difficoltà e incertezze del quadro somalo. Un altro elemento che può essere interessante, anche se non direttamente collegato ai fatti, è questo: da alcune settimane si parla della chiusura del campo profughi di Dadaab, in Kenya, che è il più grande campo per rifugiati al mondo, sorto nel 1991, quindi sostanzialmente in coincidenza con l’inizio di un ciclo di guerra civile e violenze in Somalia. Ospita ancora oggi più di 300 mila persone. Il ministro degli Interni del Kenya ha annunciato che il campo verrà chiuso a novembre. Ha detto che saranno stanziati almeno 10 milioni di dollari e che le procedure di rimpatrio dei rifugiati somali avverranno con umanità. Un riferimento questo anche alle critiche e alle polemiche innescate da precedenti annunci del governo di Nairobi, rispetto a tale provvedimento. Questo tema è legato in qualche misura, almeno nella percezione di una parte della classe politica kenyana, al discorso al Shabaab. Perché la tesi che in certi ambienti, a Nairobi, si è fatta strada è che i rifugiati somali siano sostanzialmente, almeno in parte, sostenitori di al Shabaab, una tesi però – questo è importante sottolinearlo – che è stata contestata con decisione dagli organismi delle Nazioni Unite che da anni lavorano in questo campo.








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